di Gennaro Tedesco *
La discussione è aperta da molti anni, cambiano i nomi, le paternità e lo scopo, ma ogni volta che si prova a discutere scoppia una inevitabile polemica. Si tratta della “Via”, o delle “Vie” della fede, che fanno riferimento ai Santuari del Gargano. La suggestione c’è: antichi pellegrini che per devozione arrivavano da chissà dove, muniti di bastone e sandali, si fermavano a pregare nei conventi di Stignano, San Matteo, San Giovanni Rotondo, Manfredonia, Monte Sant’Angelo. Negli anni novanta, grazie a qualche libro di storia locale si parlava di “Via Sacra Longobardorum” e si raccontava che lungo la “Via” sorgevano cappelle votive e c’erano luoghi di sosta con pozzi che, col tempo, sono diventati abbazie famose, come quelle di San Giovanni in Lamis, ovvero il convento di San Matteo a San Marco in Lamis. Da qualche tempo, grazie anche ad un progetto della Provincia di Foggia e Regione Puglia, si parla di “Via Francigena del sud”, ovvero il percorso che da Roma i pellegrini percorrevano fino alla grotta dell’Arcangelo Michele.
Si è concluso il 6 maggio il “ Cammino dell’Arcangelo” organizzato dal Club Alpino Italiano: a piedi da Benevento a Monte Sant’Angelo e non sono mancate polemiche e dibattiti. Il Comune di San Giovanni Rotondo non ha accolto ufficialmente i camminatori nella tappa del 5 maggio, al sindaco Luigi Pompilio vengono attribuite frasi di non condivisione del progetto, forse più motivato da una battaglia politica contro la Regione Puglia che da motivazioni di carattere storico. Polemica che non ha fatto piacere a Michele Del Giudice del CAI di Foggia e a Vilma Tarantino del CAI di Benevento, promotori del Cammino dell’Arcangelo. La stessa Amministrazione guidata da Pompilio ha organizzato per il 6 maggio un convegno dal titolo “Sulla Via Francigena… San Giovanni Rotondo terra di due grandi santi: Padre Pio e Camillo de Lellis”. Insomma le Vie e gli approcci storici sono numerosi il risultato è una grande confusione che più che portare pellegrini e spiritualità ha portato, per adesso, polemiche e litigi tipici nella migliore tradizione garganica. Chi studia da anni pellegrinaggi e modi di arrivare per pregare sul Gargano è Padre Mario Villani del convento di San Matteo a San Marco il Lamis. Ci accoglie nella biblioteca dedicata a Padre Michelangelo Manicone e tra libri storici, qualche computer nuovo, che ci ricorda che siamo nel 2012, ci spiega le sue perplessità sulla “Via Francigena del sud”. È combattuto tra la polemica e il giusto approccio costruttivo, nella chiacchierata sceglierà il secondo.
« Se ci troviamo a parlare ancora una volta della Via Francisca, dopo tanti studi e pubblicazioni, è unicamente perché non se ne è letta la storia, o perché, se letta, nelle scelte operative è stata reputata non influente. Anche l’uso disinvolto dei nomi con cui si designa il percorso tra Roma e Monte Sant’Angelo, che ha già prodotto parecchia confusione tra coloro che a diverso titolo se ne occupano, è frutto di una cattiva conoscenza della storia o di una errata interpretazione. Con il nome Via Francigena del sud si vuole intendere il percorso da Roma a Lucera che si snoda sul tracciato della Via Consolare Appia- Traiana, con Via Francisca il tratto che va dal santuario di Stignano alla Grotta di San Michele. I fatti storici sono quel che sono, ed esulano da fatti economici, turistici e ideologici. La Via Francisca era sconosciuta fino a qualche decennio fa ed aveva per nome solo un numero, SS 272. Questa strada ha un particolarità: era una delle strade più conosciute e frequentate dai pellegrini che da oltre 1500 anni si recavano da San Michele. Questa intensa frequentazione ha ispirato qualcuno, rimasto sconosciuto, a dargli il nome fantasioso, quanto improbabile, di Via Sacra dei Longobardi. Nonostante gli studi e le pubblicazioni, questo nome, insieme ad altri nomi fantasiosi frutto di invenzioni, viene ancora adoperato. Nomi inventati come la Via Michaelica, la Via dell’Angelo, la Via dell’Arcangelo e anche la Via dei Crociati- ci spiega Padre Mario mentre accenna un sorriso di comprensione quasi a giustificare, in qualche modo, la grande confusione-. Storicamente possiamo affermare che esisteva un complesso delle Vie Francigene che comprendeva anche l’Appia- Traiana. Per raggiungere il santuario michaelico vi era un sistema di vie e di tratturi che confluiva alle pendici meridionali e occidentali del Gargano. La cosiddetta Via Francigena del Sud era, quindi, una delle tante strade che si riunivano e unificavano nelle strade dirette verso la montagna, di cui la principale del versante occidentale era la Via Francisca. Non ha senso, oggi, mettere insieme come fosse una unica via, la cosiddetta Via Francigena del Sud e la Via Francisca. Questo tratto di strada è percorsa da altre 1500 anni e non ha alcun bisogno di essere scoperta, né valorizzata perché ha già una sua funzione religiosa senza l’aiuto o la protezione di chicchessia. La Via Francigena del Sud non può essere delineata e descritta essendo stata privata da tempo immemorabile della sua funzione al contrario della Via Francisca. Se c’è l’intenzione di costruire una via turistica, se si è mobilitati dal desiderio di conoscere, di fermarsi a visitare una cattedrale, un museo, più in là un panorama, un fiore è altra cosa dallo spirito dei pellegrini anche se le due cose possano tranquillamente convivere, è però importante essere chiari. La Via Francigena, il progetto attualmente in corso, si chiude definitivamente a Monte Sant’Angelo, la Via Francisca Garganica invece, è pensata e vissuta come strada aperta al mondo. Uno stravolgimento caduto dall’alto che non tiene conto della storia sarebbe una grave perdita per noi garganici- spiega Padre Mario parlando dell’attualità e dei vari progetti in corso che suscitano polemiche-. Aggiungo che il pellegrino è silenzioso e invisibile non ama parlare di se. Ultimamente ho notato gente che vuole mettersi solo inutilmente in mostra: annunciano il loro arrivo attraverso giornali e Tv, inviano messaggi ai sindaci». Insomma l’invito è alla sobrietà e alla fede e in conclusione, Padre Mario, ci tiene a lanciare un messaggio alle istituzioni. «Non commettiamo errori, cerchiamo di lavorare tutti insieme per uno sviluppo sano di strategie e proposte di ospitalità, la contrapposizione non serve. I santuari come quello di San Matteo non possono essere esclusi, come non si può escludere il CAI per tracciare materialmente il percorso, l’invito è alla collaborazione e in questo le istituzioni devono costruire momenti di confronto e di analisi, è un loro compito».
Gennaro Tedesco (da L’Attacco del 15 maggio 2012)