My week with Marilyn è la storia vera del giovane Colin Clark (Eddie Redmayne), rampollo aristocratico appena laureato, desideroso di lavorare nel mondo del cinema. Siamo nella Londra degli anni ’50, le case di produzione abbondano, ma nessuno sembra aver bisogno di Colin, che, tuttavia, riuscirà, con la sua caparbietà e voglia di fare, a farsi assumere dai vertici della Olivier production come aiuto regista nel film “Il principe e la ballerina”. Protagonisti del set, Laurence Olivier (Kenneth Branagh) e Marylin Monroe (Michelle Williams).
Nel trambusto causato dai problemi nei rapporti tra le star, Colin riuscirà ad instaurare un inedito e inaspettato legame con Marilyn, la Diva delle Dive. Con questo film Hollywood sceglie di celebrare il cinquantesimo anniversario della scomparsa di Marilyn Monroe in maniera insolita e poco convenzionale. Non esaltando la Marilyn simbolo, mito, “desiderio di milioni di americani”, ma focalizzandosi sulla Marilyn donna e attrice. Una decisione significativa, che da un lato omaggia nel giusto modo un personaggio così d’impatto come Marilyn e dall’altro contribuisce a gettare luce sulla vera personalità di questa controversa figura. La popolarità, il suo sorriso smagliante, la sua sensualità, ma anche le sue difficoltà con la recitazione, con i suoi colleghi attori, i capricci e, soprattutto, l’insicurezza. Già, perché il ritratto che emerge dal film è quello di una persona fragile, in lotta con se stessa, cosciente del fatto che la sua popolarità deriva più dalla sua spontaneità e frivolezza, che dai suoi meriti.
Michelle Williams supera a pieni voti la non facile prova di interpretare questa duplice personalità in seno alla famosa attrice, riuscendo a sfumare il personaggio a tutto tondo. Il film è notevolmente arricchito dalle interpretazioni di vecchie volpi del cinema internazionale: una splendida Julia Ormond veste i panni della gelosissima Vivien Leigh, all’epoca moglie di Sir Laurence Olivier, interpretato da un brillante Kenneth Branagh. Quest’ultimo non sembra aver avuto alcuna difficoltà ad entrare nel ruolo; d’altra parte i punti di contatto tra i due attori sono molti: entrambi adulatori di Shakespeare, una vita professionale trascorsa a metà tra teatro e cinema, il tutto condito da una certa spocchia e vanagloria di fondo, propria dell’essere divi.
Il giovane regista Simon Curtis non rinuncia ai tradizionali modelli hollywoodiani di rappresentazione cinematografica, tuttavia, questi sono spesso messi da parte per privilegiare un linguaggio più cupo e privo di facili espedienti narrativi, utilizzato soprattutto nelle parti che riguardano il “lato oscuro” di Marilyn. Il risultato finale è un’alternanza tra luci ed ombre, a livello metaforico oltre che tecnico: c’è la Marilyn splendente agli occhi del mondo che però diventa tenebrosa non appena i riflettori si spengono e cala l’ombra sul palcoscenico. La candida colonna sonora di Alexandre Desplat fa da ciliegina sulla torta.