E’ un dato di fatto: quando ci si appresta a vedere un film tratto da un libro che si è amato, si fatica a mantenere l’obiettività e si entra in sala con un consistente bagaglio di domande, aspettative e pregiudizi. Come sarà reso quel particolare momento, cosa taglieranno, cosa includeranno, a quali dettagli daranno peso. L’ideale sarebbe dimenticarsi completamente di ciò che è stato prima, di approcciarsi al film facendo tabula rasa, fingendo di non aver mai sentito parlare di quella storia.Ma seppure quest’idea animasse i migliaia di lettori che hanno amato il best seller di Jonhatan Safran Foer, la delusione farebbe comunque breccia nei loro cuori, al vedere lo scempio artistico che è stato fatto per Molto Forte, Incredibilmente Vicino.
Prescindendo da una banale analisi delle differenze tra libro e film, quello che si vuole sottolineare è la totale mancanza di coerenza tra le intenzioni della storia e il modo il cui essa è raccontata. E’ difficile persino identificarlo una vero e proprio plot: gli elementi che lo costituiscono sembrano essere stati incollati gli uni agli altri, privilegiando il dramma fine a se stesso e sacrificando il racconto vero e proprio.
C’è il piccolo Oskar Schell, vittima indiretta del disastro dell’undici settembre che ha provocato la morte del suo papà (Tom Hanks). C’è una chiave, trovata da Oskar, per caso, tra gli indumenti di suo padre. La disperata ricerca della rispettiva serratura, porterà Oskar a vivere una serie di piccole avventure cittadine e a scoprire il passato nascosto della sua famiglia.
E’ nauseante ridurre così all’osso una storia il cui senso invece era racchiuso in spettacolari voli pindarici, in esplosioni di suoni, parole, colori. Flashback, intrecci, drammi sussurrati, ritmi serrati e raffinatezze stilistiche: non si intravede nemmeno l’ombra di tutto ciò. Il film non è altro che una sequenza di eventi, presentati a tratti in maniera tecnicamente interessante, ma che non riescono a mettere in evidenza l’essenza del tutto, la meta finale a cui si vuole tendere. Al contrario, ci si crogiola in maniera ruffiana ed eccessiva sulla tragedia in quanto tale, rendendo quanto di interessante si era salvato dalla sfoltitura aprioristica della sceneggiatura in un pasticcio melodrammatico, in cui non sfigura una scialba Sandra Bullock (nel ruolo della madre di Oskar).
Persino le grandi doti recitative di Max Von Sydow non riescono a riempire un vuoto di fondo troppo evidente per essere ignorato. Il suo personaggio è l’ inquilino, una figura misteriosa che accompagna Oskar per buona parte della sua ricerca. Un ruolo chiave, si potrebbe dire, anche solo per la curiosità che suscita nello spettatore desideroso di capire la sua vera identità, e che invece viene relegato a personaggio secondario per nulla esplorato. E’ tuttavia una questione generale: di tutti i personaggi rimane ben poco perché praticamente nulla viene raccontato di loro.
Molto Forte, Incredibilmente Vicino è un film fatto male, la cui visione è sconsigliata. Il fatto che se ne parli però potrebbe invogliare qualcuno a recuperare l’emozionante e coinvolgente libro omonimo di Jonhatan Safran Foer, che di sicuro non deluderà.