LibriAmo a cura di Renata Grifa
Ha ragione: non siamo più giovani, non aspiriamo più a prendere il mondo d’assalto. Siamo dei profughi, fuggiamo noi stessi, la nostra vita. Avevamo diciott’anni, e cominciavamo ad amare il mondo, l’esistenza: ci hanno costretto a spararle contro. La prima granata ci ha colpiti al cuore; esclusi ormai dall’attività, dal lavoro, dal progresso, non crediamo più a nulla. Crediamo alla guerra.
Erich Maria Remarque
“Niente di nuovo sul fronte occidentale”, un’espressione diventata quasi un luogo comune quando si vuol sottintendere che non ci sono novità, che tutto scorre uguale.
Un’espressione che fin dai tempi della scuola, quando sotto la foto di un soldato caduto in battaglia, l’autore suggeriva di leggere quell’Erich Maria Remarque per capire cosa fosse la guerra, mi ha incuriosita per quel titolo così evocativo: se non c’è nulla di nuovo perché scriverne un romanzo?
Poi un caso del destino ha voluto che iniziassi a sfogliare quelle pagine.
Quel che ne è venuto fuori è il ritratto di una generazione annientata dal conflitto.
Dalla guerra, dalla Prima Grande Guerra.
Uomini strappati alla loro giovinezza, prelevati direttamente dai banchi di scuola e mandati a combattere una guerra che fu una vera e propria carneficina.
Arruolati nelle file dell’esercito prussiano, un manipolo di studenti appena diciottenni si lascia convincere che in quel preciso periodo storico la patria ha bisogno di loro, che la partenza volontaria per il fronte è l’unica scelta possibile per un futuro privo di oppressori, ragazzi che ben presto però si renderanno conto che non vi è nulla di glorioso nella vita in trincea, nelle battaglie, nella morte di un compagno o addirittura di un nemico “Perdonami, compagno, come potevi tu essere mio nemico? Se gettiamo via queste armi e queste uniformi, potresti essere mio fratello, come Kat, come Alberto. Prenditi venti anni della mia vita e alzati; prendine di più, perché io non so che cosa ne potrò mai fare”.
(E mentre gli usi questa premura / Quello si volta, ti vede e ha paura / Ed imbracciata l’artiglieria / Non ti ricambia la cortesia. Lo cantava anche De Andrè).
Eppure nonostante il male visto in azione, la fame, il gelo, le granate esplose, le avanzate e le ritirate improvvise, nonostante le giovani vite stroncate, la voce del protagonista Paul riesce a conservare la bellezza della vita, la poesia che a dispetto del tema affrontato imperversa in ogni pagina.
Erich Maria Remarque pensando di non dirci nulla ci ha così detto invece che su quel Fronte Occidentale troppe vite sono state sacrificate in nome di una pace che sa di terra promessa…e inarrivabile.
Vite di chi ha solo vent’anni e fino ad allora non ha conosciuto altro che disperazione, battaglie e terrore. Vite di chi nonostante il baratro sperimenta il bellissimo sentimento dell’ amicizia e continua a sperare in un futuro per se stesso, pur chiedendosi cosa ne potrà mai essere di una generazione che ha vissuto solo di armi e morte.
Non sono molti gli autori che attraverso un libro sono riusciti nel corso della storia a rendere così reale la vita di un uomo che diventa soldato.
È questa forse una tra le più drammatiche e toccanti cronache di quegli anni.
Un grande romanzo, ma anche una grande testimonianza di come per qualsiasi motivo venga fatta la guerra non è mai la soluzione migliore.