L’oro bianco, ancora una chimera per molti
Dopo 21 anni di celebrazioni della giornata mondiale dell’acqua (22 marzo) un’occhiata ai numeri dà una certa tristezza. Le persone che continuano a non avere accesso all’acqua potabile sono circa un miliardo e 2,5 miliardi di esseri umani non dispongono di servizi igienico-sanitari decenti. La somma di questi due dati ne produce un terzo: ogni 20 secondi un bambino muore per mancanza di acqua pulita. I rapporti delle Nazioni Unite si sforzano di mostrare il bicchiere mezzo pieno: in alcune aree del pianeta la situazione lentamente migliora. Ma la micidiale spinta demografica del ventesimo secolo ha costretto l’umanità a correre in salita su una scala mobile che scende: una grande fatica per restare praticamente fermi. Il numero dei disperati resta sterminato.
Inoltre ai danni passati si somma ora la micidiale pressione del cambiamento climatico che sta alterando un ciclo dell’acqua già precario. Le riserve idriche sotterranee si stanno rapidamente esaurendo in moltissime aree del pianeta (dalla Cina agli Stati Uniti, dall’India all’Iran). E le zone aride coprono circa il 41% della superficie terrestre. Entro il 2025 quasi due miliardi di abitanti del pianeta vivranno in regioni ad alto rischio di crisi idrica.
In questo quadro, tra le varie iniziative della giornata, c’è l’appello di Green Cross “Salva la goccia”: un decalogo di buone azoni domestiche che vanno dal chiudere il rubinetto quando ti levi i denti (7 litri di acqua risparmiati) al preferire la doccia al bagno (100 litri risparmiati), dal riparare i rubinetti che gocciano (5 litri al giorno risparmiati) ai piatti lavati in una bacinella invece che sotto l’acqua corrente (90 litri risparmiati).
Una buona azione ecologica è sempre apprezzabile e aiuta a far crescer la consapevolezza dell’importanza dell’acqua: moltiplicata per milioni di volte produce il suo effetto. Ma per risolvere il problema idrico bisogna aver presenti quali sono i numeri reali del consumo. La maggior parte dell’acqua che utilizziamo (più del 90% secondo i dati contenuti nel libro “L’acqua che mangiamo”, Edizioni Ambiente, che si può scaricare gratis) non si beve e non serve per lavarsi: si mangia.
Buona parte dell’agricoltura moderna (ad esempio il 40% del raccolto mondiale di grano) è possibile solo grazie a un ciclo forzato dell’acqua che in molti paesi comporta un consumo superiore alla disponibilità di acqua rinnovabile: la differenza viene da depositi fossili che si ricaricano solo in migliaia di anni.
Quindi la dieta che scegliamo, e in particolare la quantità di carne che mangiamo, pesa enormemente sulla bilancia idrica di un paese: in una tazzina di caffè si nascondono 140 litri d’acqua, 135 in un uovo, 185 in un pacchetto di patatine, 75 in un bicchiere di birra, 2.400 in un hamburger. Commerciare cibo vuol dire comprare e vendere acqua virtuale: per i paesi ricchi è una maniera per scaricare altrove i problemi. Ma la tensione attorno alle fonti idriche continua a crescere. Con esiti difficilmente prevedibili.
(fonte: repubblica.it)