“Ero uscito per vedere le stelle cadenti ma me le sono beccate tutte addosso…”
Nella giornata di ieri, è stata portata alla nostra attenzione una scena di una brutalità inaudita: le immagini di un volto tumefatto, un occhio gonfio, segni indelebili di una vile aggressione omofoba: fotografie accompagnate da parole che lasciano il cuore in pezzi: “Ero uscito per vedere le stelle cadenti ma me le sono beccate tutte addosso… Ecco cosa fate con i vostri post omofobi e l’educazione che date ai vostri figli”.
Queste sono le parole di Michel, nostro concittadino, che ha avuto il coraggio di denunciare pubblicamente ciò che ha subito.
Davanti a tale violenza, si resta senza parole. Ma è davvero il momento di rimanere in silenzio? O è più che mai necessario riflettere, porci delle domande scomode e finalmente agire?
Le domande non sono retoriche, ma anzi essenziali:
Dove sono le famiglie mentre i loro figli crescono con l’odio nel cuore? Dove sono le famiglie quando i loro figli apprendono che è accettabile umiliare, minacciare e picchiare chi loro ritengono diverso? Dove sono le famiglie che dovrebbero essere il primo baluardo contro l’intolleranza e la violenza?
L’educazione comincia a casa, i genitori hanno il compito di insegnare ai propri figli il rispetto, la compassione, l’empatia. Ma se nelle mura domestiche si respira l’aria pesante dell’odio e del pregiudizio, come possiamo aspettarci che i nostri figli crescano con questi valori?
Ogni giorno, migliaia di giovani come Michel vivono nel terrore. Alcuni, come lui, trovano il coraggio di denunciare, ma quanti adolescenti, quanti ragazzi e ragazze, rimangono in silenzio, imprigionati nella paura e nella vergogna? Quanti giovani sono costretti a nascondersi, a rinunciare alla loro identità per evitare insulti, minacce, e perfino aggressioni fisiche?
Immaginate un adolescente che non vuole uscire più di casa perché stanco di sentirsi gridare dai suoi coetanei nel luogo centrale del paese, in Piazza Europa, “Fr… al rogo, devi morire bruciato”. Questo accade a San Giovanni Rotondo.
Un grido che non è solo un’offesa, ma una condanna, un marchio indelebile che si imprime nella mente e nell’anima. Quale futuro stiamo costruendo per i nostri figli se permettiamo che questo accada?
L’omofobia non nasce dal nulla. È il prodotto di un’educazione sbagliata, di messaggi distorti che passano dai genitori ai figli, dalla società ai giovani. Ogni post omofobo, ogni battuta di cattivo gusto, ogni silenzio complice contribuisce a creare un ambiente tossico in cui l’odio prolifera.
Michel è un adulto che ha avuto il coraggio di parlare, di mostrare il proprio dolore per scuotere le coscienze. Ma quanti minori non trovano la forza di fare lo stesso? Quanti giovani soffrono in silenzio, senza nessuno a proteggerli, a sostenerli?
È arrivato il momento che le famiglie e le istituzioni prendano una posizione chiara e decisa contro l’omofobia.
Le famiglie devono diventare il primo luogo in cui si impara il rispetto per l’altro, in tutte le sue forme. Le scuole devono educare all’empatia e alla tolleranza, contrastando ogni forma di discriminazione.
Le istituzioni devono garantire che chiunque sia vittima di violenza possa trovare protezione e giustizia. Ma soprattutto, devono impegnarsi a costruire una società in cui ogni individuo, indipendentemente dalla sua identità, possa vivere senza paura.
Non possiamo continuare a parlare di evoluzione della specie se assistiamo passivamente alla regressione dell’umanità. L’unica evoluzione possibile è quella che ci porta verso una società più giusta, inclusiva e rispettosa. Ed è nostra responsabilità, come genitori, come educatori, come cittadini, lavorare per realizzarla.
Davanti alla violenza omofoba, non possiamo e non dobbiamo rimanere in silenzio. Dobbiamo invece chiederci dove stiamo fallendo come società, come famiglie, come esseri umani. E dobbiamo agire, con urgenza e determinazione, per costruire un futuro in cui nessuno, mai più, debba subire quello che ha subito Michel.
Giovanni Piano