di don Carlo Sansone
La tomba vuota, l’incredulità che ferisce il ricordo e l’esperienza di averlo incontrato, di aver vissuto con lui, la solitudine e l’isolamento della sua morte, sono provocazione e dono per la nostra fede che si conferma esperienza non tanto del vedere ma dell’accogliere, e decidere e qualificare, la morte e la risurrezione di Gesù esperienza di relazione, esperienza della sua parola e della sua testimonianza nel tessuto stesso della storia che dal momento della incarnazione – Dio fatto carne – è storia di redenzione, di lotta, di salvezza.
Gesù, contestato, vilipeso, insultato, definito bestemmiatore, dice che se non si vuole credergli, le opere testimoniano di lui per non fare della sua vicenda terrena un mito, ma il mito, nelle civiltà di ogni epoca, custodisce e rivela il bisogno della verità della vita e della sua origine.
Gesù ha tolto il velo che la ricerca dell’uomo ha inspessito da renderlo impenetrabile a qualsiasi verità che non sia dimostrabile, dimenticando che la verità non si produce ma la si riceve, praticandola si ha conferma della sua autenticità.
Se non credete a me, credete alle mie opere, dice Gesù: «le opere che io compio nel nome del Padre testimoniano di me. Se non credete a me, credete alle opere» (Gv 10,25.37). I miracoli sono opere e segni, ci sono e ci informano che c’è una paternità – un responsabile – della creazione: la fede nella risurrezione si fonda in Dio creatore e “ciò che di Dio si può conoscere è manifesto” (Rm 1,19), confermata dalla storia, Gesù Cristo.
Le Scritture e la storia sono il riferimento per una fede adulta e come tale viene confermata dalla pratica della Parola divina: «Voi scrutate le Scritture, pensando di avere in esse la vita eterna: sono proprie esse che danno testimonianza di me. Ma voi non volete venire a me per avere la vita» (Gv 5,39-40) e dalla storia sappiamo che «il Verbo di Dio – Cristo – si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi» (Gv 1,14), mandato dal Padre perché «non perda nulla di quanto egli mi ha dato, ma che lo risusciti nell’ultimo giorno» (Gv 6,39).
Solo chi mette in pratica la Parola di Gesù Cristo saprà se è vera o meno. La Parola è Gesù Cristo stesso, persona che sfugge a indagini dello scientismo e del relativismo, ma si dona e si fa conoscere da chi lo accoglie, la pratica della sua parola diventa rivelazione ed esperienza della sua presenza (Gv 14).
La tomba vuota, l’assenza, alla risurrezione, degli apostoli, della Madre, di quanti lo hanno incontrato, indicano che la prova della risurrezione è nelle conseguenze della risurrezione, un esempio: la Chiesa è in vita, non è caduta come ogni istituzione umana, qualcuno ne è responsabile, il Signore che ha rassicurato gli Apostoli promettendo la sua presenza fino al compimento della sua incarnazione, passione, morte e risurrezione.
La fede, credere, è esperienza di ciò che si professa e confessa! E’ un bene per noi che la tomba sia vuota, che non ci sono testimoni del passaggio di Gesù al Padre – Pasqua – poiché l’amore creativo, redentivo, salvifico di Dio creatore chiede amore, lo stesso vissuto e testimoniato da Gesù Cristo: accoglienza e comunione di vita. L’amore non chiede prove, l’amore è prova di se stesso e della sua forza, della sua passione, della sua fecondità di vita.
Chi non ama, non vive, patteggia, mercanteggia, compra e vende opinioni sull’amore che è e deve manifestarsi vita, esperienza di chi, prima di noi, ha definito l’uomo sua immagine e somiglianza – i Padri nella fede dicono altro cristo – ;
la risurrezione ha restituito alla creatura umana, e all’intero creato, la sua dignità e un progetto: non è qui, è risorto.
Se non è risorto, le nostre reti sono vuote!