Il Natale: dall’antica civiltà contadina del Gargano
Il Santo Natale per l’antica civiltà contadina garganica rappresentava un evento importante.
La devozione (devo donare l’azione), per la nascita di GESU’, veniva preparata e sentita da tutti spontaneamente. Il digiuno natalizio, veniva osservato dal giorno dopo la festa di San Martino, allo scopo di accogliere l’evento con l’animo devoto e purificato privando il corpo dalle grandi abbuffate.
La verdura di stagione che cresceva spontanea nei prati, veniva raccolta e cucinata per l’occasione.
La borragine, ricca di ferro, veniva pulita accuratamente, poi bollita e condita con sale, limone e olio. Ottimo alimento capace di sostituire le proteine e con la stessa acqua si ammorbidiva il pane.
La sera prima del 13 dicembre si mettevano a bagno, per 12 ore, possibilmente utilizzando l’ acqua piovana, le fave (rinomate quelle coltivate nelle località di Carpino perché più dolci e saporite).
Il mattino successivo si cuocevano nella pignatta (recipiente di terracotta) ricoperte di acqua e si circondava il recipiente con una ricca brace del camino. Una volta cotte venivano condite con semi di finocchietto selvatico, sale e olio. Una parte della pietanza veniva offerta ai vicini e parenti.
Il sedici Dicembre iniziava la novena di Natale. Il tocco delle campane richiamava i fedeli alla S. Messa, le funzioni venivano svolte al mattino presto per consentire di svolgere le solite mansioni lavorative. Da ogni parte del paese e dalle campagne vicine, ricoperti con pastrani e cappelli accorrevano pastori e contadini.
Prima di entrare in chiesa avevano scambiato tra di loro gli argomenti: a come meglio svernare, a come predisporre le cunette nel terreno in presenza di copiose piogge, dove e come procurare il fogliame per le bestie. Si accordavano per barattare la paglia con la biada e anche gli animali, bastava la parola e tutto andava a buon fine.
Le donne anche esse, prima di entrare in chiesa, coperte di sciarpe di lana, da loro stesse confezionate, chiacchieravano tra di loro della cucina, e a quello che avrebbero preparato per il 25 dicembre consigliandosi per la buona riuscita e accordandosi di scambiarsi i prodotti in eccesso con quelli mancanti.
I giovanotti terminata la Messa uscivano un attimo prima dalla chiesa per incrociare gli sguardi femminili, che coperte dalla testa ai piedi correvano a casa per il freddo, naturalmente scosse da quegli sguardi così comprensibili.
Il garganico non è molto eloquente nell’esprimersi a parole perché è pratico e poco dispersivo, invece il suo sguardo ha un linguaggio universale con diverse sfumature di chiare ricezioni per chi le riceve.
Per l’occasione alla ragazza in questione, sapeva trasmettere il timido desiderio con rispettoso pudore che penetrava nel suo cuore e se il mattino seguente si ripeteva di incrociare ancora quello sguardo, per il giovane, nonostante il duro lavoro, il freddo e il digiuno diventava una bellissima giornata. Per molte coppie, grazie alle Novene Natalizie è avvenuta la nascita dell’amore e hanno poi coltivato e sviluppato il germe della famiglia.
Le massaie si privavano di alcune ore di sonno per filare la lana e confezionare con i ferri: sciarpe, guanti, calze e cappelli da donare ai parenti, e sempre di notte preparavano i dolci e le pietanze tipiche.
Nei grossi secchi colmi d’acqua, ricoperti con sopra un grosso peso, si depositavano le anguille (rinomate quelle pescate nei laghi di Lesina e di Varano), esse venivano cucinate la sera della Vigilia. Le donne si sporcavano le mani di farina o di sale per poter prendere le bestiole vive e viscide dal secchio. Le bestiole anche dopo averle tagliate e ripulite, si dimenavano ancora e poi venivano cucinate con le verdure (senape, catalogna, cima di rape).
Un‘altra quantità veniva fatta alla brace e condita con il sale e il limone (preferiti i limoni di Rodi). Un’altra quantità veniva ricoperta di farina e fatta friggere nell’olio.
Il baccalà sostituiva le anguille, veniva messo per diversi giorni sotto l’acqua corrente, cucinato con le patate (preferite le patate di San Marco in Lamis). Un antico episodio avvenuto in un Natale narra che il marito di nome Marco per aver la certezza della pietanza tradizionale, disse alla propria moglie: ‘li patanne la miss’.
In diversi modi si cucinava il baccalà:
– lessato, scolato e condito con poco aglio, limone, prezzemolo tritato e olio.
– infarinato, impanato e cucinato nell’olio.
L’insalata riccia con le arance sbucciate tagliate a quadretti, era il contorno per tutte le pietanze, all’insalata e alle arance si aggiungevano, alici sotto olio e il tutto condito con aceto di vino e olio nostrano. Questo contorno è tornato di moda, viene utilizzato per le diete dimagranti.
I dolci natalizi erano i crostoli fatti con:
l’uovo mescolato alla farina, la pasta veniva tirata col mattarello da ricavare una sfoglia sottilissima, veniva poi sezionata, intrecciata, ricoperta di farina (importante che quando si lavora la farina prima di essere impastata deve essere setacciata al momento per meglio ossigenarsi; regola confermata da una donna non più giovane di Peschici). Le trecce sottilissime della pasta venivano fatte friggere fino a diventare dorate e condite con il miele di fichi. Il miele fatto d’estate veniva consumato in mille modi: per curare le bronchite, per sostituire lo zucchero, versato in un bicchiere di neve granulosa si otteneva una gustosa granita, si spalmava sul pane a fette e si aggiungeva all’acqua fredda per dissetare (preferito il miele di Sannicandro).
In estate, grosse caldaie venivano riempite di fichi e ricoperti con metà acqua, fatti bollire prestando attenzione a utilizzare la legna secca per non fare sviluppare il fumo. Tutto il contenuto dei fichi trasformato in marmellata veniva messo ancora caldo in un sacco di stoffa pulito con sopra grossi pesi per una migliore spremitura, il succo ricavato si faceva bollire in un’altra pendola e quando diventava denso si metteva in un piatto, si passava il dito, se il segno lasciato non si univa, il miele era pronto, si conservava dentro ai recipienti di argilla in ambienti freschi.
Spesso le pietanze natalizie venivano offerte a parenti, ad amici bisognosi, ai proprietari dei terreni,
al dottore, all’avvocato, al prete. Quest’ultimo viveva soltanto di offerte, anche per lui l’inverno era triste, doveva sottostare alla clemenza e all’avarizia del proprio Parroco che amministrava da solo i beni della chiesa e i relativi lasciti.
L’antica civiltà contadina garganica era rispettosa verso i disegni Divini, conosceva a perfezione le leggi e i comandamenti: nati per morire, percorrere rassegnati le strade della vita assegnata, siano esse larghe, strette, lunghe o brevi, affrontava le insidie della vita con pazienza, aiutava a superare la salita a chi si trovava in difficoltà, era disinvolta, si privava delle cose utili per donarli a chi senza chiedere ne aveva bisogno, superava le avversità e le disgrazie con i silenzi devoti, con i digiuni che però rafforzavano l’animo e lo arricchivano.
A mezzanotte della Vigilia di Natale, si prendevano le campane per suonarle, le persone si affacciavano sull’uscio delle proprie case, che possedeva l’arma da fuoco sparavano colpi in aria a vuoto con le cartucce confezionate artigianalmente. Rivolgevano gli sguardi al cielo per simulare ed assistere con ingenuità, il passaggio della Cometa.
Quella notte s’avvistava una Stella la stessa sì sempre quella che accompagnò l’antico pastore nella grotta dove nacque il Signore Il suo alone di luce addita e par che dica vai Garganico anche tu a visitare il bambino Gesù Lui è là in qualunque ospedale tra chi soffre e sente male tra i senza casa e i disoccupati tra il terzo mondo e i menomati Con i vecchi soli negli ospizi poveri umili e senza vizi a costoro porgi il saluto augurale Gesù sarà contento e Santo sarà il Natale.
di Antonio Monte da Milano