Il documento che chiarisce alcuni aspetti della vita di Padre Pio messi in ombra da alcuni recenti articoli
di Stefano Campanella
La Premessa. Il 24 ottobre il Corriere della Sera ha pubblicato un «brano» di un libro del prof. Sergio Luzzatto nel quale è riportata la testimonianza di due farmacisti ai quali Padre Pio ha chiesto «in stretto segreto dell’acido fenico puro» e, successivamente, «quattro grammi di veratrina». Ciò ha fatto sorgere a uno dei due farmacisti «il sospetto grave, gravissimo, che il frate si servisse dell’una o dell’altra sostanza irritante “per procurarsi o rendere più appariscenti le stigmate delle mani”». Oltre a riportare questi fatti, l’autore commenta: «Più che profumo di mammole o di violette, odore di santità, dalla cella di padre Pio erano sembrati sprigionarsi effluvi di acidi e di veleni, odore di impostura». Il giorno dopo, lo stesso quotidiano, riportava un articolo firmato da Aldo Cazzullo con altri stralci tratti dallo stesso libro, non ancora in commercio. Questa volta viene reso noto il contenuto di «quattro foglietti» scritti da Papa Giovanni XXIII il 25 giugno 1960, nei quali si legge: «L’accaduto – cioè la scoperta per mezzo di filmine, si vera sunt quae referentur, dei suoi rapporti intimi e scorretti con le femmine che costituiscono la sua guardia pretoriana sin qui infrangibile intorno alla sua persona – fa pensare ad un vastissimo disastro di anime, diabolicamente preparato, a discredito della S. Chiesa nel mondo, e qui in Italia specialmente».
Questa la “verità” che il quotidiano ha voluto far conoscere. Ma non è tutta la verità. I farmaci dello “scandalo”. In un Dizionario dei Medicamenti del 1965 si legge che l’acido fenico ha «potere antisettico», in passato «fu adoperato da Lister per l’antisepsi operatoria, ma ora è abbandonato perché all’antisepsi si è sostituita l’asepsi ed anche perché nella disinfezione del campo operatorio è sostituito da altri antisettici» ed è «usato con qualche frequenza nella disinfezione di piaghe e di ferite infette» (1).
Lo stesso testo indica che la veratrina, «applicata sulla cute e sulle mucose determina irritazione fortissima (senso di calore, di bruciore ecc.) a cui segue, specialmente se la veratrina è sciolta nell’alcool, o mescolata con grasso, ottundimento della sensibilità» (2).
In termini più semplici: era usata come anestetico locale. Che Padre Pio utilizzasse il primo prodotto non era certo un mistero. Lo ha attestato anche padre Paolino da Casacalenda (3), che nelle sue memorie ha scritto: «Padre Pio per pulire le ferite ed arrestare il sangue usava l’acido fenico» (4).
Si legge sul Corriere del 24 ottobre: «A Foggia, voci sul ritrovamento di acido fenico nella cella di padre Pio avevano circolato già nella primavera di quel 1919, inducendo il prof. Morrica a pubblicare sul Mattino di Napoli i propri dubbi di scienziato intorno alle presunte stigmate del cappuccino». Certamente questi dubbi furono condivisi anche dal prof. Amico Bignami, ordinario di Patologia Medica alla Regia Università di Roma che, nel mese di luglio del 1919 fu incaricato da padre Giuseppe Antonio da Persiceto, procuratore e commissario generale dell’Ordine dei Frati Minori Cappuccini, di visitare il Frate di Pietrelcina e di riferire il suo giudizio. Quando il prof. Bignami incontrò Padre Pio, gli chiese il «perché applichi la tintura di iodio», un altro antisettico, con blanda azione emostatica. Il Frate rispose «che la usa come disinfettante un paio di volte alla settimana e anche e anche più spesso; ed anche la usa, perché, a suo dire, se non la applica, le lesioni facilmente sanguinano» (5). Bignami concluse la sua relazione escludendo che le stimmate «siano state determinate artificialmente e volontariamente», anche perché «l’impressione di sincerità che ha fatto in me Padre Pio – ha scritto il cattedratico – mi impedisce di pensare alla simulazione senz’altro» (6). Però il prof. Bignami ipotizzò «che le lesioni descritte siano cominciate come prodotti patologici (necrosi cutanea multipla della cute) e siano state forse incoscientemente e per un fenomeno di suggestione, completate nella loro simmetria e mantenute artificialmente con un mezzo chimico, per esempio con la tintura di iodio» (7). La certezza doveva scaturire da un esperimento, chiesto espressamente dal cattedratico romano: «Essendosi egli persuaso che il suo giudizio era il vero, perché potesse aversi una prova del fatto, diede ordine al Provinciale (era padre Pietro da Ischitella n.d.a.) di proibire l’uso di qualsiasi medicinale, specialmente dell’acido fenico, da applicarsi sulle ferite e anzi poi ordinò di fasciare e suggellare le ferite alla presenza di due testimoni e di controllare i suggelli delle stesse alla presenza degli stessi testimoni, per otto giorni, affinché si potesse avere la certezza che le ferite non erano state affatto toccate, molto meno curate. Dopo otto giorni bisognava fare una coscienziosa relazione per dire se le ferite si erano rimarginate oppure no».
Tutto fu eseguito scrupolosamente. «L’ottavo giorno in cui furono definitivamente tolte le fasce al Padre Pio, mentre Egli celebrava la Messa, colava tanto sangue dalle mani che fummo costretti a mandare dei fazzoletti perché il Padre potesse asciugarlo. Nella relazione che mandammo al Molto Reverendo Padre Provinciale, sottoscritta dai testimoni e da me, nel riferire coscienziosamente che nei controlli giornalieri le fasce e i sigilli furon trovati sempre a posto facemmo notare questa circostanza del sangue durante la Messa, perché ci parve una prova veramente chiara che il Signore dava contro il giudizio del prof. Bignami» (8).
L’azione caustica.
Il Dizionario dei Medicamenti evidenzia l’azione caustica sia dell’acido fenico, sia della veratrina. Ma – chiedo agli specialisti – può l’azione caustica arrivare a forare completamente una mano o un piede? Il dott. Luigi Romanelli, primario chirurgo all’ospedale civile di Barletta, che per primo, a maggio del 1919, visitò le stimmate di Padre Pio su incarico di padre Benedetto da San Marco in Lamis, ministro provinciale dei Frati Minori Cappuccini della Provincia religiosa di Foggia, scrisse nella sua relazione che «applicando il pollice nella palma della mano e l’indice nel dorso, coprendo in tal guisa le due zone descritte e facendo pressione, che riesce oltremodo dolorosa, si ha la percezione esatta del vuoto esistente fra le due dita» (9). Fece la stessa esperienza, anche se solo per sua “curiosità”, il dott. Andrea Cardone, che aveva curato il Frate a Pietrelcina. «Per rendersi conto se le piaghe di Padre Pio erano aperte o si fossero rimarginate, fece entrare nella piaga della mano destra del Padre il pollice e l’indice in modo che si toccassero l’un l’altro. Padre Pio ne provò un grande strazio ed esclamò: “Eh, dottore, sei come san Tommaso?… A me le ferite fanno male»(10). Lo stesso medico ha dichiarato per iscritto che i fori attraversavano il palmo delle mani da parte a parte, tanto da vedere la luce filtrare»(11). Anche alcuni frati hanno potuto fare l’identica constatazione. Un’altra prova. Se la proibizione di padre Pietro da Ischitella di usare l’acido fenico e l’esperimento suggerito dal prof. Bignami non fossero sufficienti a fugare i dubbi, c’è un altro elemento che va evidenziato per un’analisi storica non lacunosa sulle stimmate di Padre Pio: queste scomparvero poco prima della morte senza lasciare alcuna traccia di cicatrice.
In merito, il dott. Paolo Maria Marianeschi, specialista in chirurgia generale presso la Clinica chirurgica dell’Università di Perugia, durante il Convegno di studio sulle stimmate del Servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina (12), ha affermato che «le lesioni cutanee profonde guariscono sempre con cicatrice… Nell’uomo la cicatrizzazione è un processo obbligatorio e non facoltativo… esso è necessariamente ed automaticamente innescato nel momento stesso in cui si produce la lesione anatomica dei tessuti». Per cui «la scomparsa delle stimmate di Padre Pio o la loro guarigione acicatrizziale che dir si voglia è un vero e proprio assurdo fisiopatologico». Detto in termini più semplici: «La Medicina può solo affermare che la scomparsa delle stimmate di Padre Pio è una guarigione straordinaria che rappresenta un vero e proprio salto dal corso naturale degli eventi»(13). Tutto questo smonta ampiamente l’ipotesi autolesionistica sulle stimmate di Padre Pio e accredita quella di una origine soprannaturale. «In stretto segreto». Il fatto che Padre Pio chiedesse i due farmaci «in stretto segreto» è certamente dovuto alla sua necessità di tenere nascoste le stimmate, che erano per lui motivo di confusione e di mortificazione e di vergogna, come si evince da numerose pagine del suo epistolario.
Quando, nel 1910, a Pietrelcina comparvero per la prima volta questi segni, il Frate informò padre Benedetto da San Marco in Lamis, che era il Ministro Provinciale, ma anche il suo direttore spirituale, con una lettera dell’8 settembre 1911, nella quale spiegava: «Questo fenomeno è quasi da un anno che si va ripetendo, però adesso era da un pezzo che più non si ripeteva. Non s’inquieti però se adesso per la prima volta glielo dico; perché mi sono fatto vincere sempre da quella maledetta vergogna. Anche adesso se sapesse quanta violenza ho dovuto farmi per dirglielo!» (14). Dopo la prima comparsa, poiché la sua «anima a tal fenomeno rimase assai esterrefatta, pregò il Signore che avesse ritirato un tal fenomeno visibile. Da allora non apparsero più; però, scomparse le trafitture, non per questo scomparve il dolore acutissimo» (15). Il 20 settembre 1918 quelle piaghe si riaprirono. Per quasi un mese Padre Pio non scrisse nulla a padre Benedetto. Solo il 17 ottobre trovò la forza di prendere la penna in mano, ma la sua narrazione dell’accaduto era confusa: «Sarà necessario che io pronunzi il mio fiat nel mirare quel misterioso personaggio che mi impiagò tutto e non desiste dalla dura, aspra, acuta e penetrante operazione, e non dà tempo al tempo che venga a rimarginare le piaghe antiche, che già su di queste ne viene ad aprire delle nuove con infinito strazio della povera vittima?… Deh! Cessi da me questo strazio, questa condanna, questa umiliazione, questa confusione!» (16). A questo punto il Ministro Provinciale si allarmò e gli ordinò: «Figliuol mio, dimmi tutto e chiaramente, e non per accenni. Qual’è l’operazione del personaggio? di dove scorre il sangue e quante volte al giorno o alla settimana? che è avvenuto alle mani e ai piedi, e come? Voglio sapere per filo e per segno tutto e per santa ubbidienza» (17). Solo dietro imposizione «per santa ubbidienza», il Frate stigmatizzato, il 22 ottobre 1918, raccontò dettagliatamente ciò che gli era accaduto il 20 settembre precedente. Ma lo fece con grande difficoltà e senza nascondere il suo disagio. «Mio Dio – si legge in quella lettera di risposta a padre Benedetto – che confusione e che umiliazione io provo nel dover manifestare ciò che tu hai operato in questa tua meschina creatura!»(18).
Se Padre Pio aveva tanta difficoltà, persino con il suo direttore spirituale, a rendere nota l’esperienza mistica che viveva, come avrebbe potuto spiegare alla farmacista interpellata il motivo per cui gli servivano le due sostanze richieste? L’opinione di Papa Giovanni XXIII. Nei «foglietti» di Papa Giovanni il giudizio segue una premessa: «si vera sunt quae referentur». Cioè, se sono vere le cose riferite. Infatti il Card. Tardini chiamò per telefono mons. Loris Capovilla, all’epoca segretario particolare del Pontefice, e «lo invitò a scendere nel suo appartamento per prendere le bobine delle “registrazioni” e farle ascoltare al Papa. Papa Giovanni non volle, dicendo che tutta la vicenda era in mano ai responsabili del S. Officio: esaminassero in coscienza» (19). Dunque «da parte del Papa non c’era alcun pregiudizio. Erano gli uffici a trasmettere notizie negative su quanto avveniva a San Giovanni Rotondo, e il Papa non poteva far altro che prenderne atto» (20).
A chiarire ogni cosa fu l’arcivescovo di Manfredonia, mons. Andrea Cesarano «che si recò a fare visita al Santo Padre nel 1961 e che lo vide turbato. Non ebbe da lui il solito tono di giovialità come per le altre volte, data l’antica amicizia, ma che subito gli chiese: “Che mi racconti di Padre Pio?” “Santità…” “Non chiamarmi santità – lo interruppe – “chiamami don Angelo come hai sempre fatto. Dimmi di lui!” “Padre Pio è sempre l’uomo di Dio che ho conosciuto all’inizio del mio trasferimento a Manfredonia. E’ un apostolo che fa alle anime un bene immenso”. “Don Andrea, adesso si dice tanto male di Padre Pio”. “Ma per carità, don Angelo. Sono tutte calunnie. Padre Pio lo conosco sin dal 1933 e t’assicuro che è sempre un uomo di Dio. Un santo”. “Don Andrea, sono i suoi fratelli che l’accusano. E poi… quelle donne, quelle registrazioni… Hanno perfino inciso i baci”. Poi il Santo Padre tacque per l’angustia e il turbamento. Monsignor Cesarano, con un fremito che gli attraversava l’anima e il corpo, tentò di spiegare: “Per carità, non si tratta di baci peccaminosi. Posso spiegarti cosa succede quando accompagno mia sorella da Padre Pio?” “Dimmi”. E monsignor Cesarano raccontò al Santo Padre che quando sua sorella incontrava Padre Pio e riusciva a prendergli la mano, gliela baciava e ribaciava, tenendola ben stretta, malgrado le vive rimostranze nel timore di sentire un ulteriore male per via delle stigmate. Il buon Papa Giovanni alzò lo sguardo al cielo ed esclamò: “Sia lodato Dio! Che conforto che mi hai dato. Che sollievo! Ti prego, avverti subito il Cardinale Tardini e il Cardinale Ottavini del tuo arrivo. Di’ a loro ciò che hai raccontato a me. Domani ci sarà la riunione dei membri del Santo Offizio che discuteranno proprio il caso di Padre Pio. Io ti preannunzierò ai due Eminentissimi con una telefonata”. Anche loro riconobbero “infondate” le accuse contro il venerato Padre. In seguito proprio in forza della deposizione di monsignor Cesarano, avvalorata da altre testimonianze favorevoli a Padre Pio, fu evitato l’irreparabile». A mons. Cesarano «il Papa nel corso di quel colloquio mostrò alcune fotografie compromettenti del Padre amato accanto a donne». L’Arcivescovo «lo rassicurò dicendo che erano degli evidenti fotomontaggi e il Santo Padre si rasserenò» (21). Fu svelata, infine, la menzogna secondo cui Padre Pio avrebbe predetto il pontificato a Roncalli. «Non se l’è mai sognato» (22), garantì mons. Cesarano. Questo chiarimento avrebbe potuto esserci molto tempo prima. Infatti il Pastore dell’Arcidiocesi di Manfredonia tentò di «rendere omaggio al Papa» prima di quella data, ma gli rispondevano «che è tanto occupato» e che era necessario «attendere di essere chiamato da lui… E quando mons. Cesarano ottenne l’udienza fu accolto con grande benignità e con un affettuoso rimprovero per non essersi fatto vedere da tanto tempo» (23). Ecco perché il Pontefice affermò: «Su Padre Pio mi hanno ingannato». Tale dichiarazione fu riferita a padre Gabriele Amorth «da molte persone», tra le quali «il marchese Oddone Tacoli, uno dei tre segretari al Soglio di Papa Giovanni» (24), amico e compagno di studi del noto sacerdote paolino. I due Papi. Con l’articolo del 24 ottobre è stata pubblicata una fotografia di Giovanni Paolo II con la seguente didascalia: «Il processo che portò alla canonizzazione di Padre Pio, fortemente voluta da Giovanni Paolo II, ebbe inizio con il “nihil obstat” del 29 novembre 1982. Il 20 marzo 1983 iniziò il processo diocesano, il 21 gennaio ’90 Padre Pio venne proclamato venerabile (la data è sbagliata, quella corretta è 18 dicembre 1987 n.d.a.).
Fu beatificato il 2 maggio ’99 e proclamato santo il 16 giugno 2002 come san Pio da Pietrelcina». L’accostamento può indurre a sospettare che il Pontefice, di cui è in corso il processo di beatificazione, abbia fatto percorrere alla causa di Padre Pio una scorciatoia. In realtà così non è, nonostante Papa Wojtyla desiderasse proclamarlo personalmente beato e santo. Lo ha dichiarato, in tempi non sospetti, mons. Edward Nowak, all’epoca segretario della Congregazione delle Cause dei Santi. L’Arcivescovo, infatti, ha rivelato che «il Santo Padre non solo mi esortava a condurre avanti il processo di Padre Pio, ma proprio mi tormentava, se così si può dire. Qualche volta quando siamo stati insieme a tavola, la prima domanda era sempre questa: “A che punto stiamo con la causa? A che punto stiamo con la causa?”. Io dicevo: “Padre Santo, da San Giovanni Rotondo, dalla diocesi di Manfredonia, ci hanno mandato due scaffali di documenti, cioè 104 volumi del processo. Se la vostra Santità mi autorizza a bruciare tre quarti, andiamo domani alla beatificazione e alla canonizzazione”. Il Santo Padre rispose: “No, no, studiatele bene, studiatele bene queste carte”». Questo è sempre stato un punto fermo nel modo di agire di Giovanni Paolo II, per ogni processo. «Lui è sempre del pensiero di fare tutto in maniera molto molto dettagliata perché questo giova anche alla figura stessa (del Servo di Dio n.d.a.) così che si chiariscono tutti i dettagli della vita, così non ci saranno difficoltà, critiche o altre voci, così possiamo andare sicuri alla beatificazione e alla canonizzazione».
«Questo argomento (della causa di beatificazione di Padre Pio n.d.a.) – ha aggiunto mons. Nowak – era sempre presente nei nostri incontri. Qualche volta c’era la signora Poltawska, quella per cui il Santo Padre come vescovo di Cracovia ha chiesto una speciale grazia da parte di Padre Pio, e questa tormentava ancora di più del Santo Padre, dicendo che “questi nella Congregazione non si muovono, non si muovono, vanno troppo lenti, troppo lenti”» (25). Nell’articolo del 25 ottobre sono stati riportati alcuni giudizi espressi da Papa Giovanni XXIII su Padre Pio sulla base di informazioni riferite, ma non le affermazioni successive al chiarimento, nonostante siano già pubblicate da anni. Questo potrebbe indurre i lettori a pensare a una sorta di contrapposizione fra Padre Pio e la Chiesa e, in particolare, questo Pontefice. Questa contrapposizione non c’è mai stata. Il vero atteggiamento di Papa Roncalli lo abbiamo dimostrato. Quello di Padre Pio si può ricavare da una sua frase e da un episodio. La frase non ha bisogno di commenti: «Dolce è la mano della Chiesa anche quando ci percuote, perché è sempre la mano della madre» (26). L’episodio ha avuto per protagonista il prof. Felice Spaccucci, autore di un libro intitolato “I cinque Papi di Padre Pio”, scritto quando il Cappuccino stigmatizzato era ancora in vita. «Avendo vissuto il periodo di Papa Giovanni a San Giovanni Rotondo, avendo assistito a tante angherie nei confronti di Padre Pio, certo non ero benevolo nei confronti di Papa Giovanni», ha dichiarato l’autore. «Avevo fatto – ha proseguito nel suo racconto – il capitolo su Papa Giovanni XXIII, l’avevo terminato. Ritornato a San Giovanni Rotondo di passaggio e confessandomi da Padre Pio, alla fine mi disse: “Uhè, guagliò, quel capitolo su Papa Giovanni non mi piace. Non l’aveva letto. Quindi poi rifeci tutto il capitolo» (27). San Giovanni Rotondo, 27 ottobre 2007. Stefano Campanella direttore responsabile Tele Radio Padre Pio. (1) Medicamenta – Cooperativa Farmaceutica Milano – VI edizione 1965, p. 3508 e 3509. (2) Ivi, p. 4640. (3) Era superiore del Convento di San Giovanni Rotondo quando arrivò Padre Pio e mantenne l’incarico fino al 29 settembre 1919. (4) Padre Paolino da Casacalenda Le mie memorie intorno a Padre Pio a cura di P. Gerardo Di Flumeri – Edizioni Padre Pio da Pietrelcina 1978, p. 166. (5) Relazione del prof. Amico Bignami in Le stigmate di Padre Pio da Pietrelcina a cura di padre Gerardo Di Flumeri, p. 176. (6) Ivi, p. 177. (7) Ivi, p. 178. (8) Padre Paolino, Le mie memorie, o.c., p. 170 e seg. (9) Relazione del dott. Luigi Romanelli in Le stigmate, o. c., p. 149. (10) Fra Modestino da Pietrelcina Io… testimone del Padre Edizioni Padre Pio da Pietrelcina 1992, p. 33. (11) Dichiarazione del dottor Andrea Cardone in Le stigmate, o.c. p. 309. (12) Si è svolto a San Giovanni Rotondo dal 16 al 20 settembre 1987. (13) Atti del Convegno di studio sulle stimmate del Servo di Dio Padre Pio da Pietrelcina Edizioni Padre Pio da Pietrelcina 1988, p. 238 e segg. (14) Pio da Pietrelcina Epistolario Vol. I – Edizioni Padre Pio da Pietrelcina 1995, p. 234. (15) Ivi, p. 669. (16) Ivi, p. 1090. (17) Ivi, p. 1091. (18) Ivi, p. 1093. (19) Pro-memoria di mons. Valentino Vailati, arcivescovo di Manfredonia e Presidente del Tribunale perla Causa di Padre Pio dopo un colloquio con mons. Loris Capovilla in Beatificationis et Canonizationis Servi Dei Pii a Pietrelcina Positivo super virtutibus Vol. I/1, p. 137. (20) Intervista di mons. Capovilla al quotidiano on-line Petrus del 26 ottobre 2007. (21) Padre Carmelo da Sessano Padre Pio, Uomo santo di Dio Edizioni Pugliesi 2002, p. 177 e 179. (22) Mario Cinelli e Lorenzo Gulli Padre Pio Giovanni XXIII Rai Eri 2002, p. 95. (23) Ivi, p. 92. (24) Intervista dell’autore a p. Gabriele Amorth del 28 agosto 2007. (25) Stefano Campanella Il Papa e il Frate Edizioni Padre Pio da Pietrelcina, Seconda Edizione, p. 209 e seg. (26) Marciano Morra Padre Pio e la Chiesa madre di santi e di peccatori Edizioni Casa Sollievo della Sofferenza – Edizioni Padre Pio da Pietrelcina 2007, p. 168. (27) Intervista rilasciata dal prof. Felice Spaccucci a Tele Radio Padre Pio.
di Stefano Campanella
tratto da http://www.teleradiopadrepio.it/