di Franco Salcuni
Sembra avesse ragione il filosofo Aristotele quando diceva “ciò che è più antico è più degno di rispetto”. Il boom di presenze a Monte Sant’Angelo nei giorni della festa di San Michele fa il paio con una crescita di attenzione complessiva da parte del turismo culturale e religioso per la meta del culto micaelico sul Gargano. Crescita progressiva che va però analizzata nella sua composizione, se vogliamo comprendere fino in fondo dove vanno le linee di tendenza. Il turismo religioso, con i suoi pellegrini, non ha mai fatto mancare i suoi numeri, che da montanaro, fin da quando ero bambino, mi hanno sempre impressionato. La novità risiede invece nel fatto che ai tradizionali pellegrini si stanno aggiungendo nuovi turisti. Innanzitutto la crescita è certamente aiutata, soprattutto per i flussi dall’estero, dal riconoscimento da parte dell’Unesco del Santuario di San Michele come Patrimonio Mondiale dell’Umanità. Si tratta di un target prevalentemente di turisti della cultura, attratti dalle bellezze italiane, che hanno incluso Monte Sant’Angelo tra le mete da non perdere. Anche i cammini di San Michele, frequentatissimi in questi giorni da vecchie e nuove compagnie di pellegrini, da numerosi giovani e anziani camminatori, rappresentano un momento di contatto con pratiche antiche, profondamente radicate nella notte dei tempi. I camminatori sono un altro target nuovo, fatto soprattutto di persone attente alla qualità ambientale dei luoghi e che coinvolgono anche molti giovani. I luoghi di San Michele, con le loro pietre testimoni del sacro già prima della diffusione dei culti cristiani, soddisfano il desiderio antico e contemporaneo della “ricerca delle radici”, del “camminare” profondamente radicato nella natura della nostra specie, dell’ “incontro” con se stessi, con la natura, con gli altri, con il divino. Tutti bisogni ancora presenti nella società contemporanea, forse in maniera più sentita rispetto a quella antica, medievale e moderna, proprio perché negati dalla vita modernizzata e artificiale nella quale siamo immersi. Quello che colpisce di più di questi giorni è proprio il ritorno al cammino. Già da un paio di anni riscontriamo, anche nella programmazione delle iniziative festivaliere di Legambiente, che curo personalmente, una grande attenzione alle esperienze di cammino, alle escursioni, all’approccio diretto con la natura e con i luoghi, naturali, culturali, spirituali. Nella nostra programmazione sono tra le proposte che vanno sempre sold out, e addirittura quasi sempre le richieste superano la possibilità di soddisfarle. Non mi meraviglia pertanto il fatto che migliaia di persone siano partite a piedi per raggiungere il santuario di Monte Sant’Angelo, è il frutto di una tendenza culturale e spirituale in decisa crescita.
Dall’altra parte c’è da registrare un sostanziale fallimento del modello “San Pio”, tutto grandi eventi e grandi alberghi, senza tutela per il paesaggio spirituale del santo, che anzi è stato distrutto e sostituito con una sorta di “disneyland” della fede. Purtroppo a san Giovanni Rotondo è prevalsa l’idea “reliquiaria” di tipo tradizionale: in una teca hanno deciso di riporre le ciabatte di San Pio, piuttosto che quel luogo straordinario, nel quale Dio e il Santo hanno deciso di fissare il loro appuntamento, quale era il convento di Santa Maria delle Grazie, immerso nel paesaggio naturale e agricolo montano, contraddistinto dalla presenza di pascoli, mandorleti, boschi, seminativi e muretti a secco. Quando il turismo spirituale diventa preda di logiche da “ciclo del cemento” e preda del “ciclo dello sfruttamento del pellegrino” che parte dai parcheggi, passando per souvenir, offerte, ristoranti e alberghi, senza più offrire la magia dei luoghi dello spirito, il paesaggio nel quale la santità s’è incarnata ed è cresciuta in una persona che nutriva il corpo e l’anima in quei luoghi, inevitabilmente finisce per stancare e declina. Il segreto del successo di Monte Sant’Angelo forse sta proprio in questo, nell’aver arginato, seppur non completamente, il processo di artificializzazione del pellegrinaggio che ha invece caratterizzato il culto di San Pio. Gli scempi a Monte ci sono e ci sono stati, anche nel centro storico e nella stessa fabbrica del Santuario, oltre che nelle periferie, ma non hanno snaturato completamente le caratteristiche originarie dei luoghi. Il pellegrinaggio a Monte è antico, con la tradizione delle compagnie dei pellegrini che da 15 secoli raggiungono il santuario a piedi, ma è anche nuovo, perché fatto di gente, spesso anche non credente, sempre più in cerca di paesaggi dello spirito. Occorre fare i conti con questa doppia valenza, antica e contemporanea, e saper sostenere con azioni precise un pellegrinaggio di tale natura, senza però rischiare, proprio con queste azioni, di snaturarlo. Paradossalmente sarebbe meglio non fare nulla piuttosto che fare male. Parlo d’infrastrutture per il turismo, e di servizi che se partono da un’idea sbagliata di turismo e di territorio possono distruggere la magia dei luoghi. Quello in crescita è il turismo culturale e dei camminatori dello spirito. E’ un turismo di “ricerca”, anche quando non si propone preventivamente di cercare qualcosa. E’ turismo di “natura” anche quando non sembra esplicitamente rivolto verso una fruizione esclusiva del patrimonio naturalistico. Qualsiasi intervento che invece di agevolare finisce per ostacolare lo spirito, la ricerca, il rapporto con il passato e la natura dei luoghi, distrugge irreversibilmente il motivo del viaggio e l’attrattore costruito dalla natura e dall’umanità in millenni di atavica attenzione. Mancano ancora la pulizia e la manutenzione dei sentieri, anche se qualcosa è stato fatto, mancano gli ostelli per i camminatori, e qui nulla è stato ancora fatto, cresce, anche se è ancora insufficiente l’ospitalità diffusa, sicuramente preferita dal turismo culturale più degli alberghi, che invece a Monte, nonostante la crescita, negli ultimi tempi hanno conosciuto anche episodi di chiusura.
Credo che considerazioni come queste debbano orientare le scelte sull’organizzazione dell’accoglienza e degli itinerari e devono rappresentare un monito per Monte Sant’Angelo e per tutto il territorio di Capitanata, un’indicazione precisa per i governanti. Non facciamoci ubriacare dai numeri in crescita per farci venire strane idee. E ricordiamo il monito di Aristotele: ciò che è più antico è più degno di rispetto, perché la ricerca dello spirito e della cultura è sempre connesso al bisogno di ricercare le origini delle cose e non i suoi pessimi sviluppi cementizi.
Franco Salcuni
(da l’Attacco del 3 ottobre 2013)
gargice
Sono stato a Monte S. Angelo in occasione di Festambiente Sud, quanta gente. Eppure era tutto fatto con semplicità, sicuramente qualche pecca, ma l’evento ha attirato molte persone.
La nostra città invece non “tira” più e probabilmente perché l’accoglienza non è più genuina ma commerciale, il paesaggio storico e naturalistico è macabro: distrutto da cemento e infrastrutture mal funzionanti. Aggiungiamoci gli amministratori incapaci, gli pseudo-imprenditori senza alcuna professionalità e il Dio Danaro che conta molto di più di quel Santo che molti vorrebbero venerare.Sante Barbano
Lazzaro P.
Perché a Monte Sant’Angelo riescono ad avere tutti quei soldi pubblici dalla Regione e dalla Provincia per organizzare gli eventi e pagare gli artisti?
Lazzaro Palumbolazzaro palumbo