Recensione di Carmela Fabbricatore
Non deve poi stupire troppo che Abbas Kiarostami abbia deciso di ambientare il suo ultimo film in Italia. Il regista iraniano non ha mai nascosto l’amore per il nostro Paese, la nostra Arte, il nostro Cinema, la sua particolare inclinazione verso il Neorealismo e verso maestri come Fellini. Ciò che stupisce, invece, è trovare tra i protagonisti un’attrice d’altro rango quale è Juliette Binoche: è risaputo infatti che, sulla scia di quanto accadeva per i maestri neorealisti, Kiarostami ama lavorare con attori non professionisti, tentando di catturare con la sua macchina da presa la spontaneità delle sensazioni umane senza che esse siano snaturate da forzature derivanti da eventuali tecniche di recitazione.
In Copia Conforme, si strappa alla regola e ci si ritrova di fronte ad una splendida Binoche che interpreta Elle, un’appassionata d’arte residente in Toscana, proprietaria di un negozietto di antiquariato e con un figlio a carico. Elle si imbatte in uno scrittore anglosassone, James Miller, venuto in Italia a presentare il suo nuovo libro, intitolato Copia Conforme. Inizialmente, tra i due non sembra esserci un rapporto che vada al di là di quello che si può instaurare tra una celebrità e una sua ammiratrice. Ma quando un’anziana signora in un bar li scambia per marito e moglie, le carte in tavola si confondono totalmente. Da quel momento in poi, i due si comporteranno proprio come coniugi, lasciando intendere allo spettatore che tra loro ci sia una relazione che va avanti da ben 15 anni. Si tratta di una trama tanto singolare quanto ambigua: i due sono davvero marito e moglie o giocano ad esserlo? L’interrogativo è destinato a rimanere aperto. Lo stesso Kiarostami, interpellato sull’argomento, ha lasciato aperta la strada, senza fornire spiegazioni. Ognuno potrà costruirsi il finale desiderato. Così come accade nella vita reale, non esiste un unico punto di vista e un’unica verità; ciascuno ha la propria visione, che può essere differente da quella altrui ma comunque giusta. Potrebbe sembrare una conclusione semplicistica, eppure senza dubbio rispecchia quel filosofare latente tipico dei film di Kiarostami. I dialoghi serrati di Copia Conforme racchiudono tanti spunti riflessivi: dal valore dell’arte in senso assoluto e in senso relativo al significato del matrimonio, dalle angosce derivanti dallo scorrere del tempo agli interrogativi più profondi sull’esistenza. Perno di tutto ciò, è sicuramente il gioco di finzioni e dissimulazioni che caratterizza i personaggi. Sia che i protagonisti siano davvero marito e moglie, sia che non lo siano, in un determinato momento essi hanno finto. Hanno indossato una maschera che li ha resi estranei l’uno all’altra e che in qualche modo ha incentivato un processo di astrazione da loro stessi.
Il grigiore generale nella fotografia traduce visivamente l’ambiguità sottostante all’intera storia e di cui lo spettatore è vittima inconsapevole. Probabilmente, Copia Conforme non lascerà completamente soddisfatti, causando perplessità in diversi punti. Tuttavia, il ritmo vivace delle conversazioni e la profondità dei temi che ne sono al centro, rende la visione ricca e gradevole. Dispensando qua e là delle perle di verità e saggezza, come quando il protagonista maschile ad un certo punto, discorrendo con la sua controparte sull’autenticità dell’arte e della vita, dichiara con aria rammaricata e quasi rassegnata: “Temo non ci sia niente di semplice nell’essere semplice”. Come dargli torto.