Uno dei temi che attraversa negli ultimi tempi le pagine delle più
importanti riviste scientifiche internazionali è la valutazione dei ricercatori.
Il motivo è facile da comprendere. Chi finanzia i ricercatori (tra cui anche i
semplici cittadini che offrono il proprio generoso contributo a favore della
ricerca) vorrebbe possedere un metodo con il quale giudicare la qualità dei
risultati ottenuti. Vorrebbe cioè capire a quali scoperte o innovazioni hanno
portato i fondi che sono stati investiti in attività di ricerca.
Trovare un metodo che possa misurare la “bontà” della ricerca scientifica
non è però un’impresa semplice. Non lo è anzitutto per la natura stessa della
ricerca scientifica che, in quanto attività che coinvolge la creatività umana,
poco si presta ad essere misurata. Ciò nonostante, a partire dagli anni ’50,
una serie di ricercatori, capeggiati da uno scienziato americano, il Prof.
Eugene Garfield, ha creduto nella possibilità di misurare, se non la qualità,
almeno l’impatto nel mondo scientifico di una scoperta e quindi la visibilità
del ricercatore che l’ha prodotta.
Ne è nata una unità di misura, tristemente nota a chi si occupa di ricerca
scientifica, conosciuta come “Impact Factor”. Questa misura si regge su un
concetto molto semplice: se una ricerca (per essere corretti, una rivista
scientifica) è importante (è cioè di “impatto”) allora i suoi articoli verranno
citati molto dalle altre riviste. Nonostante il Prof. Garfield avesse avvertito
che questo “metro” è utile per misurare la popolarità delle riviste e non per
giudicare la qualità delle ricerche o dei ricercatori, quasi nessuno ha seguito
le sue indicazioni. L’Impact Factor infatti è stato usato e viene ancora
tristemente usato per giudicare la qualità di istituti di ricerca, di gruppi o
di singoli ricercatori. Le cose però stanno cambiando. Infatti diversi
ricercatori sono da tempo al lavoro per cercare alternative all’Impact Factor.
Ne sono nate tante metriche, alcune delle quali ancora sperimentali, altre già
consolidate (come l’h-index) che possano correggere i “difetti” dell’Impact
Factor.
Ha affrontato questi temi anche la rivista “Nature”, che è nel
ristrettissimo gruppo delle riviste scientifiche più importanti del mondo.
L’ultimo numero di “Nature” riporta, sotto forma di intervista, il contributo
che al dibattito su questi temi ha dato il Dott.
Francesco Giuliani della Direzione Scientifica di Casa Sollievo della Sofferenza
(http://www.nature.com/news/2010/101013/full/news.2010.538.html).
L’intervista nasce grazie ad un articolo scritto dal Dott. Giuliani in
collaborazione con l’Ing. Michele Pio De Petris (Direzione Scientifica) e con
il Dott. Giovanni Nico (CNR-IAC, Roma) e pubblicato sul numero di ottobre della
rivista Scientometrics. L’intervista non verte direttamente sui metodi
per misurare la qualità della ricerca ma su un altro aspetto che ad essi è, in
un certo senso, preliminare e cioè le collaborazioni scientifiche.
Le scoperte scientifiche infatti non sono quasi mai il prodotto di uno
scienziato che lavora in solitudine ma, data soprattutto la complessità delle
problematiche, di più scienziati che lavorano in collaborazione. La
collaborazione si traduce poi in articoli scientifici che vengono redatti, a
più mani, dai diversi studiosi che hanno preso parte alla ricerca. Il metodo
descritto nell’intervista unisce a questi aspetti anche gli argomenti delle
ricerche effettuate dagli scienziati e consente di costruire un nuovo concetto,
il “potenziale di collaborazione”. Questo indice esprime in forma numerica la
probabilità che dati due scienziati, gruppi di ricerca o istituti essi possano
collaborare sulla base degli argomenti comuni di ricerca per i quali non hanno
prodotto articoli assieme.
Come sottolineato nell’intervista questi strumenti non risolvono il problema di
misurare la qualità della ricerca ma danno la possibilità, soprattutto per gli
enti di ricerca di grande dimensione, di capire verso quali argomenti sta
andando la ricerca dei diversi laboratori di cui si compongono e soprattutto di
capire la dinamica e l’evoluzione delle relazioni tra gli scienziati, il loro
gruppo di ricerca e la comunità scientifica.