di Federico Fabrizio
A
partire dal 2008 il sistema universitario pubblico è stato bersagliato da
sistematica politica di tagli, in termini di fondi per il sostegno e la tutela
al diritto allo studio.
Chi
si impegna e tiene a cuore la didattica e la ricerca è il primo a soffrire le
conseguenze degli sprechi e del malcostume che interessano l’università
italiana. Tuttavia, la riduzione indiscriminata degli stipendi penalizza, degrada
e avvilisce chi fa il suo dovere o persino più del suo dovere, come ad esempio ricercatori
universitari che da anni offrono insegnamenti a titolo gratuito o in cambio di
compensi meramente simbolici. In più ci si mette il disegno di legge Gelmini
che introduce una precarizzazione
estrema dell’accesso alla carriera accademica.
Per
avere una descrizione più aggiornata delle condizioni in cui versa la ricerca
italiana, dobbiamo esaminare la graduatoria mondiale fornita da SCIMAGO, dove
l’Italia si colloca all’ottavo posto, preceduta da USA, Regno Unito, Germania,
Cina, Francia, Giappone e Canada: tutte nazioni il cui Prodotto Interno Lordo (PIL),
fatta eccezione il Canada, supera quello dell’Italia.
In
altri termini, la posizione dell’Italia nella graduatoria delle potenze
scientifiche è molto buona ma potrebbe migliorare magari con investimenti atti
a tracciare nuove linee innovative. Ma
oltre a smaterializzare gli scarsi investimenti si è aggiunta una “perenzione”, termine con il quale si vuole indicare un meccanismo burocratico che colpisce
ogni tipo di stanziamento secondo il principio per cui se entro tre anni
dall’assegnazione del progetto i soldi non vengono utilizzati, rientrano nelle
casse del Ministero del Tesoro.
E
non è rientrato mica poco alla base: qui si tratta di 240 milioni di euro, non
di spiccioli. In particolare, il disegno di legge in riordino della politica
industriale “Industria 2015” presentato dal Ministero dello Sviluppo Economico,
si propone di rilanciare il sistema produttivo italiano muovendosi su due
direttrici fondamentali:
1. utilizzando meccanismi di sostegno generalizzati, anche a carattere
automatico, per favorire la ricerca, la riduzione dei costi d’impresa, la
promozione di investimenti, la crescita dimensionale delle imprese e il
riequilibrio territoriale;
2. attraverso sistemi di incentivazione fatti “su misura” per singoli obiettivi
strategici che vengono realizzati individuando aree tecnologico-produttive con
forte impatto sullo sviluppo (ad esempio l’efficienza energetica).
In
conclusione, la ricerca scientifica si può
definire come la fonte, la sorgente di idee che hanno il potere
di rivoluzionare la nostra esistenza. Rinunciare a questo significa rinunciare ad
essere protagonisti delle Nazioni che contribuiscono alla cultura e al
progresso dell’umanità. L’Italia ha una storia, civiltà e tradizione
scientifica di altissimo livello, vogliamo sminuirci ad un Paese senza voce in
capitolo nell’imminente futuro?
Mi
sono permesso di dare un resoconto dell’aria che si respira, forse fin troppo
viziata. C’è un comprovato timore che i tagli e la riforma comporteranno solo
contro e nessun pro: un ulteriore e decisivo incentivo alla fuga dei cervelli e
la retrocessione dell’Italia nelle classifiche mondiali della ricerca.