Da un uomo grande c’è qualcosa da imparare anche quando tace (Seneca)
Il suo nome, di origine ebraica, significa “Dio aggiunga” e nonostante fosse discendente di Davide (come Maria), di stirpe reale, lavorò come falegname tutta la vita.
D’indole mite e buona, a trent’anni fu convocato al Tempio per prendere moglie. Ad ognuno dei pretendenti, i sacerdoti, diedero un ramo e solo a colui il cui ramo fosse germogliato, sarebbe stato riconosciuto come sposo della Vergine Maria di Nazareth. Il ramo di Giuseppe germogliò per miracolo.
San Giuseppe fu sempre un uomo taciturno ma sempre teneramente presente con la sua sposa e con il figlioletto Gesù.
Accettò serenamente, dopo che l’Angelo gli apparve in sogno, la paternità putativa del progetto divino curando Gesù fin dalla nascita, seguendo e proteggendo la sua crescita. Morì prima che Gesù iniziasse la vita pubblica, spirandogli dolcemente tra le braccia.
San Giuseppe è il simbolo per eccellenza della paternità e si festeggia il 19 marzo. E’ il protettore dei più poveri, degli ultimi, dei falegnami e degli artigiani in genere, dei Monti di Pietà, della buona morte e delle ragazze in età da marito.
In alcune regioni del Sud, è usanza accogliere in casa propria dei poveri, a cui il padrone di casa offre il pranzo, per ricordare Giuseppe e Maria costretti a rifugiarsi in una mangiatoia.
Ma la festa di San Giuseppe, in verità, ha radici pagane. Infatti il 19 marzo è la vigilia dell’equinozio di primavera, giorno in cui si svolgevano i riti di purificazione; si raccoglievano in cataste i residui del raccolto dell’anno passato e si dava loro fuoco. Da qui l’usanza di accendere falò un po’ in tutta Italia.
Il piatto tipico sono le zeppole, ciambelle fritte, o al forno, ricoperte di crema pasticcera e amarene, con ricette che variano da regione a regione.