Enichem di Manfredonia, una storia italiana che pochi conoscono
di Gennaro Tedesco
Qualche anno fa decisi di fare uno studio personale sulla vicenda dell’Enichem di Manfredonia, quella storia la conoscevo poco. Iniziai ad informarmi e a leggere i racconti dell’epoca, i libri e gli atti processuali. Scoprii una storia che non conoscevo, o meglio che conoscevo in modo superficiale ed era lontana anche da quella idea generale che possedevo. Ad ogni notizia che apprendevo aumentava la mia rabbia e incredulità. Mi chiedevo se si stesse parlando della stessa fabbrica che osservavo da piccolo quando con la famiglia andavo al mare, con le sue torri e le luci lampeggianti, imponente ma apparentemente innocua. L’incredulità nell’apprendere quei fatti di morte sulla fabbrica dei veleni, della storia di Nicola Lovecchio, della lezione di civiltà di quell’operaio del petrolchimico di Manfredonia. In pochi conoscono la storia dell’Enichem, in pochi comprendono il dolore della sentenza di venerdì
Per molti anni intellettuali e politici ci hanno colpevolmente non informati, forse per non voler ammettere l’errore di far nascere in un ambiente unico e suggestivo una fabbrica inquinante e sconfortante anche dal punto di vista dell’occupazione. È arrivato il momento di indignarci, anche alla luce della sentenza.
Erano le 9.50 del 26 settembre del 1976 nello stabilimento Anic scoppia la colonna di lavaggio dell’impianto di sintesi dell’ammoniaca. È domenica e per “fortuna” sono solo 20 gli operai rispetto ai 300 che nei giorni feriali operano in quella zona dello stabilimento. Il boato precede la caduta dal cielo di una specie di fanghiglia giallastra che contiene dosi mortali di anidride arseniosa, noto cancerogeno in grado di provocare tumori polmonari, della pelle, del fegato e dell’intestino. Nella colonna scoppiata infatti c’erano 32 tonnellate di arsenico sotto forma di anidride arseniosa. La direzione dell’Anic, il direttore Campelli e il vicedirettore Guidi, fingono di non saperlo, nascondendo per quattro giorni la gravità dell’incidente. Il giorno dopo la direzione rilascerà interviste rassicuranti ai giornali sostenendo che la sostanza tossica fuoriuscita è in una quantità non preoccupante. Le prime analisi effettuate a 200 metri dalla fabbrica sono di 40 grammi di arsenico su un chilo di fogliame. Fin dal primo giorno successivo allo scoppio moriranno molti animali da cortile.
L’Anic incurante delle proteste e della gravità della situazione, continua a far lavorare tutti gli operai regolarmente. I primi 100 vengono intossicati subito da arsenico con sintomi evidenti, una ventina sono ricoverati nell’infermeria aziendale e due all’ospedale di Manfredonia, ove saliranno a 43 fino al 5 ottobre, si tratta di operai ma anche di abitanti del quartiere Monticchio, a cui vanno aggiunti altri 30 ricoverati negli ospedali di San Giovanni Rotondo e Troia. È il risultato della scelta della direzione, la scelta di fingere che tutto era normale e di sminuire l’incidente. Fatto ancora più grave è che 20 operai sono stati mandati a mani nude a pulire quella fanghiglia giallastra nella zona dello scoppio, tra loro era presente anche Nicola Lovecchio.
Nicola è morto il 1997 a 49 anni, è stato lui ad iniziare un percorso di indagine e di raccolta dati per dimostrare il nesso tra la sua malattia, quella dei suoi colleghi e le decisioni dell’ azienda. L’ha fatto con umiltà e coraggio ricostruendo l’ambiente di lavoro e le sostanze cancerogene presenti, tutte note alla direzione dell’Enichem. Ha condotto un lavoro di inchiesta autogestita contro tutti, dal sindacato ai maggiori partiti politici e inizialmente anche contro i suoi colleghi preoccupati più della perdita del posto di lavoro che della propria salute. Non ha mai creduto alla casualità della sua grave malattia e dei tumori che hanno colpito tanti suoi compagni di lavoro. L’inchiesta di Nicola è servita come trampolino di lancio per il processo che dal 2001 si è risolto, momentaneamente, venerdì
È grave la sentenza, è grave il silenzio che per molti anni ha circondato l’Enichem di Manfredonia. Speriamo che l’appuntamento con la giustizia sia solo rimandato.
Gennaro Tedesco
Direttivo Regionale Legambiente Puglia