… “se comprendere è impossibile,
conoscere è necessario
perché ciò che è accaduto può ritornare”… (Primo Levi)
Il “Giorno della Memoria” è stato istituito in Italia nel 2000 con l’approvazione all’unanimità della legge 211/2000.
All’articolo 1 si legge testualmente che “la Repubblica italiana riconosce il giorno 27 gennaio, data dell’abbattimento dei cancelli di Auschwitz, Giorno della Memoria, al fine di ricordare la Shoah (sterminio del popolo ebraico), le leggi razziali, la persecuzione italiana dei cittadini Ebrei, gli italiani che hanno subìto la deportazione, la prigionia, la morte, nonché coloro che, anche in campi e schieramenti diversi, si sono opposti al progetto di sterminio, ed a rischio della propria vita hanno salvato altre vite e protetto i perseguitati”.
La legge 211/2000 all’articolo 2 prevede anche l’organizzazione di “cerimonie, iniziative, incontri e momenti comuni di narrazione dei fatti e di riflessione, in modo particolare nelle scuole di ogni ordine e grado, su quanto è accaduto al popolo ebraico e ai deportati militari e politici italiani nei campi nazisti in modo da conservare nel futuro dell’Italia la memoria di un tragico ed oscuro periodo della storia nel nostro Paese e in Europa, e affinché simili eventi non possano mai più accadere”.
Si tratta di una legge che ha rotto il silenzio che stava tentando di cancellare la memoria dell’orrore della Shoah, silenzio che poteva essere ancora più pericoloso del negazionismo.
Il primo novembre 2005 anche l’Assemblea Generale dell’ONU ha approvato all’unanimità una risoluzione che designa il 27 gennaio “giornata di commemorazione della Shoah in tutto il mondo”.
La scelta della data ricorda, dunque, il 27 gennaio 1945, quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa, nel corso dell’offensiva in direzione di Berlino, arrivarono presso la città polacca Oświęcim, conosciuta con il nome tedesco di Auschwitz scoprendo il suo tristemente famoso campo di concentramento e liberandone i pochi superstiti. Si concluse così la tragica vicenda che aveva inghiottito la vita di milioni di Ebrei europei e di tanti altri abitanti del continente.
Varcando i cancelli del campo di concentramento per la prima volta si scoprirono gli orrori di quello che era successo e l’Occidente scopriva una realtà che fino a quel momento non aveva voluto conoscere o che aveva semplicemente ignorato.
La scoperta di Auschwitz e le testimonianze dei sopravvissuti rivelarono compiutamente per la prima volta al mondo intero l’orrore del genocidio nazista. Pian piano la gente venne a conoscenza di cosa davvero significasse la parola “sterminio”.
Da quel giorno è d’obbligo ricordare senza che nulla venga tralasciato. Benché ricordare sia doloroso soprattutto per chi è stato protagonista di una storia tanto atroce, è necessario tenere sempre desto nella memoria il ricordo di quei terribili momenti, affinché gli uomini di domani non debbano di nuovo commettere gli stessi errori e gli stessi orribili crimini.
La preoccupazione sul rischio che lo sterminio nazifascista di milioni di Ebrei ed altre minoranze possa lasciare spazio a dubbi ed ombre che il tempo è solito gettare sugli avvenimenti che non hanno più protagonisti diretti si concretizza ogni giorno che passa perché ormai i superstiti dell’eccidio nazista sono rimasti davvero in pochi.
Ora più che mai si fa forte la necessità di conservare i luoghi della memoria, luoghi che lascino un segno tangibile alle generazioni che verranno e che contrastino i negazionisti che con il tempo avranno sempre più opportunità per sviare l’opinione comune dalla realtà degli accadimenti. Quando i testimoni sopravvissuti non ci saranno più, i luoghi della memoria saranno i luoghi della testimonianza del male assoluto.
Per sensibilizzare le giovani generazioni a quella che è stata una delle più terribili e imperdonabili azioni della storia umana è importante, perciò, condividere il ricordo e coltivare la memoria.
Le testimonianze dei sopravvissuti, i racconti, i documenti e la storia devono essere le fonti utili non solo per il presente, ma soprattutto per il futuro e proprio ai giovani è affidato il compito di tramandare alle generazioni future il ricordo di un orrore storico che non si deve ripetere.
Quelli che sopravvissero, oggi sono i soli testimoni della malvagità e della violenza dei nazisti. Essi ricordano, che dopo un estenuante viaggio in vagoni bestiame sempre chiusi, giungevano nei Lager, ma solo chi superava la prima selezione veniva mandato ai lavori forzati, gli altri sparivano nel nulla. Dapprima venivano divisi gli uomini dalle donne, generalmente gli uomini sarebbero stati destinati ai lavori pesanti, mentre le donne e i bambini, soprattutto i gemelli, sarebbero stati usati come cavie per diventare vittime di laceranti esperimenti medici.
I deboli i vecchi e i malati erano destinati subito alle camere a gas; queste ultime erano camuffate da grandi locali docce per ingannare le vittime e tenerle tranquille: “dobbiamo disinfestarvi e farvi la doccia” dicevano loro i nazisti e nessuno aveva il tempo di pensare; mentre per i prigionieri sani, adatti cioè a lavorare c’erano le disinfestazioni e le docce vere.
Tutti i prigionieri dovevano sottostare a regole rigidissime imposte dai nazisti comandati da Hitler.
Ogni mattina i Kapos tedeschi gridavano: “Wstawac” (alzarsi) alle persone ammassate nelle cuccette come bestie. Subito al lavoro, con pesantissimi carichi da trasportare, vestiti solo con una giacca e un paio di pantaloni a righe. A mezzogiorno suonava la sirena del pranzo e tutti correvano a porgere le loro gamelle per avere la zuppa, un intruglio caldo senza sapore. All’una dovevano ricominciare il lavoro e andavano avanti fino all’ora di cena. Tutti i giorni i nazisti uccidevano qualcuno e si divertivano a fare “tiro al bersaglio” sui prigionieri che avevano solo “la colpa” di passare nelle loro vicinanze.
Raccontano che nella pratica quotidiana dei campi di sterminio ogni dettaglio era maniacale e simbolico ed era teso a dimostrare e a confermare che gli Ebrei erano solo apparentemente esseri umani.
Ricordano che erano costretti a vivere in una condizione subumana, infrangendo ogni legame affettivo, ogni memoria, ogni speranza; venivano privati del nome, il loro nome nel campo era un numero di matricola, che ciascuno portava tatuato sul braccio sinistro e cucito sulla giacca: dovevano impararlo a memoria e costituiva la loro nuova identità con decorrenza immediata; venivano privati dei capelli, dei vestiti, delle scarpe; non venivano distribuiti loro i cucchiai (eppure i magazzini di Auschwitz, alla liberazione, ne contenevano quintali), per cui i prigionieri avrebbero dovuto lambire la zuppa come cani. In una parola l’uomo, privato di ogni dignità e coscienza di sé, era ridotto a cosa: disumanizzato.
Raccontano che gli ultimi arrivati chiedevano agli altri che erano nel Lager da tempo: «Quando ce ne andremo?», ma la risposta era sempre la stessa: «Da Auschwitz si esce solo per il camino».
Molti sopravvissuti ci ricordano che le SS si divertivano ammonendo i prigionieri e dicevano: «in qualunque modo termini questa guerra abbiamo vinto noi; nessuno di voi potrà portare testimonianza, ma se qualcuno scampasse e raccontasse tutto gli uomini non gli crederanno. È probabile che ci saranno sospetti, discussioni, ma non ci saranno certezze perché noi distruggeremo le prove e quando anche qualche prova dovesse rimanere la gente dirà che sono esagerazioni e crederà a noi, che negheremo tutto, e non a voi».
Per fortuna non è andato così, molte delle prove degli stermini di massa e della deportazione nei Lager furono raccontati, all’indomani della caduta del fascismo e della fine della Seconda guerra mondiale, dai sopravvissuti. L’esigenza di documentare quella vicenda incredibilmente drammatica, disumana e disumanizzante era necessaria per non disperdere la memoria di eventi così drammatici ed eccezionali e per evitare che si potesse falsificare la realtà atroce del Lager.
Nella maggior parte dei casi chi narra non si presenta né come vittima né come giudice, ma semplicemente come testimone storico, per i reduci ricordare è un dovere: non vogliono dimenticare perché non vogliono che il mondo dimentichi.
Questa fu sicuramente una delle pagine più vergognose della storia umana e guardare in faccia questo capitolo assurdo e orrendo dell’era contemporanea è e sarà sempre faticoso, ma necessario.
Oggi, effettivamente, può sembrare impossibile e incredibile che possano essere successi quei fatti e che donne, uomini e bambini di un intero popolo siano stati perseguitati, torturati e uccisi nei campi di concentramento e nelle camere a gas: ma è tutto tragicamente vero e ognuno di noi non può che provare profonda vergogna al sol pensiero che nostri simili siano stati capaci di macchiarsi di tali atrocità ed infamità.
Le testimonianze degli Ebrei sopravvissuti alla Shoah sono un invito a non dimenticare e sono l’occasione perché la riflessione sul passato rimanga viva e costante ogni giorno, poiché questo mostro è ancora vivo e assume ora l’aspetto dell’intolleranza, ora quello del razzismo e dell’odio verso lo straniero, ora quello della negazione dei diritti fondamentali.
Il “Giorno della memoria” serve proprio a non dimenticare le sofferenze di allora, per saper scegliere, oggi, di evitare nuove sofferenze ad altri popoli e ad altre persone, in qualsiasi parte del mondo; serve a tenere sempre desto nella memoria il ricordo di quei terribili momenti, proprio perché gli uomini di domani non debbano di nuovo commettere gli stessi errori e gli stessi orribili crimini.
Oggi si ha la sensazione che sia cresciuta l’attenzione e la sensibilità per questa giornata anche fuori del mondo ebraico. Ma se il Giorno della memoria ci ripropone ogni anno l’appuntamento con questo evento tragico e decisivo per la nostra storia e si è notato un risveglio della società civile sul tema della Shoah e della sua memoria, nel contempo c’è chi solleva sconcertanti dubbi sulla reale consistenza di quella tragedia e non si può fare a meno di notare che la memoria della Shoah è sottilmente insidiata e talvolta negata dalla permanenza di folli ideologie .
Ogni giorno dobbiamo fare i conti con espressioni antisemite, con movimenti anti-ebraici, con affermazioni negazioniste sui siti web, con barzellette deplorevoli e striscioni negli stadi o scritte sui muri delle nostre città dove la parola ebreo viene ancora usata come un insulto, con atteggiamenti che rappresentano l’espressione della volontà di cancellare il ricordo della Shoah, con atti per cui questa triste ed indegna pagina di storia questi fatti quasi un’assurda e tragica “favola” del passato, con tanto di streghe e orchi cattivi.
Negli ultimi anni una tendenza storiografica sviluppatasi in Germania ha cercato di giustificare il nazismo, negandone l’eccezionalità e considerandolo un episodio come gli altri nella storia tedesca.
Tra le argomentazioni ricorrenti usate dai negazionisti fa spicco quella che mira a screditare la valenza delle testimonianze dirette dei sopravvissuti. C’è in ciò un tentativo di mistificazione che va ben al di là della negazione della Shoah: non è un fatto storico ad essere negato, ma addirittura il diritto individuale di ogni sopravvissuto a vedersi riconosciuto il proprio ruolo di portatore della memoria, di testimone vivente dei fatti. Di tale ruolo ci ha reso una testimonianza esemplare e indimenticabile Primo Levi con la sua opera letteraria, ma prima ancora con il suo sforzo umano nel ricordare. Ciò che per Levi costituì un dovere verso sé stesso e i suoi compagni di prigionia diviene per tutti noi un obbligo a salvaguardia di quei valori di libertà, tolleranza e democrazia che appunto perché valori autentici non possono mai darsi per scontati.
Vi è, in certe ricorrenti tesi negazioniste il tentativo di condurre la vicenda dello sterminio degli Ebrei in Europa nel campo delle prove storiche, attraverso argomentazioni pseudoscientifiche a cui è purtroppo sin troppo facile rispondere con dovizia di particolari.
Inoltre secondo tali o presunti studiosi la cosiddetta soluzione finale, di cui qualche documento nazista accenna, altro non era se non l’espulsione degli Ebrei verso l’est, dove erano state previste riserve in cui potessero vivere le minoranze etniche.
Per fortuna, malgrado tutti i suoi sforzi mediatici il negazionismo non è riuscito né in Italia, né nelle altre nazioni dell’Occidente a fermentare nell’opinione pubblica, rimanendo confinato nella nicchia politica d’origine, quella dell’estrema destra.
Contro tutti quelli che fanno revisionismo e negazionismo è sicuramente interessante il progetto, partito nel 1995 e realizzato in diverse città europee, dell’artista tedesco Gunter Demnig: collocare tanti sampietrini per ricordare i deportati nei campi di sterminio nazisti.
Le Pietre d’inciampo (Stolpersteine) sono una soluzione di sorprendente discrezione: un semplice sampietrino, come i tanti che pavimentano le strade delle nostre città, reca incisi, sulla superficie superiore di ottone lucente, pochi dati identificativi: nome e cognome, data di nascita, data e luogo di deportazione, data di morte in un campo di sterminio nazista. Queste pietre servono, nell’idea, a riportare a casa persone a cui è stata tolta ogni dignità di persona, per ricordare chi si voleva ridurre soltanto a un numero.
La piccola targa d’ottone è collocata sulla strada o sul marciapiede prospiciente l’abitazione dei deportati: da lì sono stati prelevati, strappati agli affetti e agli studi, per essere deportati e uccisi senza ragione, seppelliti in fosse comuni, privando così i loro discendenti persino di un luogo dove ricordarli. Nella loro casa tornano ora, con dignità di persone, per essere ricordati dai familiari, dagli inquilini del palazzo, dai tanti cittadini che ogni giorno transitano lì davanti.
Un inciampo non fisico, dunque, ma visivo e mentale, per far fermare a riflettere chi vi passa vicino, piccoli segnali che inducono a ricordare, ad interrogarsi, a riflettere su ciò che è stato, intrecciando continuamente il passato e il presente, la memoria e l’attualità.
Gli Stolpersteine sono un segno concreto e tangibile, ma discreto e antimonumentale, che diviene parte della città, a conferma che la memoria non può risolversi in un appuntamento occasionale e celebrativo, ma costituire parte integrante della vita quotidiana.
Anche in questo modo il ricordo della Shoah non sarà cancellato, ma si terrà vivo il ricordo del genocidio degli Ebrei, degli zingari e degli omosessuali per evitare che quanto è accaduto possa succedere nuovamente.
Ciascuno di noi ha il dovere di tenere accesa tutti i giorni la luce della memoria della Shoah e di ogni sterminio, di farsi custode delle testimonianze che ci hanno consegnato la storia ed i sopravvissuti. Il dovere di ricordare coincide col prendere le distanze e condannare, senza ambiguità, l’operato di quelle formazioni politiche di estrema destra che hanno ancora tra i loro caratteri distintivi l’antisemitismo, l’odio razziale e il richiamo all’ideologia nazifascista.
Ognuno di noi non può che provare profonda vergogna al solo pensiero che nostri simili siano stati capaci di macchiarsi di tali atrocità ed infamità.
Sonia Ritrovato