di Berto Dragano
Viviamo in un paese, dove la precarietà non è solo lavorativa, anche la quotidianità diventa una sorta di gara a tirare a campare. In questa città dell’accoglienza vivere la normalità è un terno al lotto. Manca sempre qualcosa.
Sembra di vivere in un libro di Ammaniti.
Viviamo un paese in cui numerosi cittadini costituiscono un comitato in difesa del Santo attraversando la Città con fiaccolate ed in tempi di pioggia subiscono e fotografano, senza ribellarsi, i continui allagamenti.
Viviamo un paese in cui s’invocano primarie impossibili, candidati unici, Flash mob contro la violenza sulle donne come risposta comunista alla fiaccolata, azioni legittime che distraggono un popolo sempre più disorientato, mentre i veri problemi vengono trascurati, rimandati a tempi e a uomini migliori.
Sono passati anni da quando fatti di cronaca hanno cominciato ad attraversare violentemente il nostro paese e come tutte le notizie di cronaca sono digerite, i fatti si posano sulle storie e si dimenticano facilmente.
Un ciclo biologico che avviene ogni qualvolta atti criminosi colpiscono famiglie, donne, uomini, storie della nostra terra.
Vorrei ricordarvi che appena iniziava il 2000, tra le canzoni del cinquantesimo Festival di San Remo spuntava Padre Alfonso Maria Parente, 34 anni, frate cappuccino, nato e cresciuto a Milano e ospite nella comunità del convento di San Giovanni Rotondo.
Padre Alfonso canterà droga, alcolismo e prostituzione, temi attuali per il Paese del futuro Santo che lo ospita.
Gli atti criminosi nel nostro paese sono mutati e continuano ad aumentare insieme agli atteggiamenti criminosi, di una cultura assimilata da modelli mediatici che bombardano quotidianamente le menti distorte o forse troppo sensibili.
Le forme malavitose di una parte dei cittadini sangiovannesi continua a crescere all’ombra dell’indifferenza dei cittadini che vivono il paese in modo per bene.
Padre Alfonso Maria Parente, si classificò sesto nella sezione giovane e il messaggio del ritornello ripeteva: “Dimmi che giorno sarà, e se mai quel giorno arriverà, se mai qualcosa cambierà, quando qualcuno qualche cosa farà”.
Il 29 agosto 2002 successe il fattaccio. Padre Alfonso Maria Parente, come Lucifero, cadde dalla grazia di Dio agli inferi più profondi. Il frate cappuccino fu incriminato per sfruttamento illecito del nome di Padre Pio in una televendita, dove veniva proposta l’interessante opera “Padre Pio da Pietrelcina: un mistero senza fine”, assicurando che il ricavato sarebbe stato devoluto ad una giusta causa. La giusta causa una villa al mare con piscina, ovviamente.
E se il messaggio di Padre Alfonso poteva essere credibile ma bruciato dalle stesse azioni che predicava e cantava non mi resta che sperare che ognuno di noi non dimentichi perché come ricordava Indro Montanelli: “Un popolo che ignora il proprio passato non saprà mai nulla del proprio presente.“
Ed allora, non risulta che il popolo sangiovannese reagì con nessuna manifestazione.
Il 26 marzo scorso, la trasmissione televisiva “Le Iene”, ha mandato in onda la storia di Anna e delle molestie che avrebbe subito all’interno del Santuario di Padre Pio.
Un servizio sconcertante.
Anna chiede di parlare con Papa Francesco: “Vorrei dirgli tutto, io non ho paura”. Uno dei frati gestori del santuario si rifiuta di parlare. A chiedere aiuto per Anna, ora licenziata, c’è solo Don Peppino, un sacerdote quasi 90enne che si rifiuta di usare termini pesanti, ma dice: “Quelli sono più iene di voi. Io non posso fare niente, deve intervenire il Papa”.
Berto Dragano