Uno studio condotto da Casa Sollievo della Sofferenza e altri enti
L’assunzione giornaliera di una moderata quantità di caffè, una o due tazzine al giorno, può contribuire a prevenire il lieve decadimento cognitivo (MCI – Mild Cognitive Impairment) premonitore della futura insorgenza della malattia di Alzheimer (AD – Alzheimer’s disease).
Ad affermarlo, in uno studio pubblicato sulla rivista Journal of Alzheimer’s Disease, è stato un team di ricercatori composto daDavide Seripa e Francesco Panza, rispettivamente dirigente biologo e medico collaboratoredell’Unità di Geriatria e Laboratorio di Gerontologia-Geriatria dell’IRCCS Casa Sollievo della Sofferenza, Vincenzo Solfrizzi e Carlo Sabbà, docenti dell’Università degli Studi di Bari Aldo Moro, assieme al medico Emanuele Scafato e ai data manager Lucia Galluzzo e Claudia Gandin dell’Istituto Superiore di Sanità di Roma.
Gli effetti neuroprotettivi della bevanda, spiegano gli esperti, dipendono dal consumo moderato e regolare. Nel corso dello studio gli autori hanno esaminato il consumo di caffè da parte di 1.445 persone di età maggiore di 65 anni reclutati nell’ambito dell’Italian Longitudinal Study on Aging (ILSA), studio basato su popolazione arruolata in otto centri italiani e seguiti nel tempo per 3 anni e mezzo.
Lo studio ha preso in esame due aspetti importanti nella relazione tra consumo di caffè e decadimento cognitivo. Da una parte le differenze nelle abitudini al consumo, dall’altra le variazioni rispetto ai consumi pregressi.
Nel primo caso è emerso che chi consumava una/due tazze di caffè al giorno aveva un ridotto rischio di decadimento cognitivo rispetto a quelli che ne consumavano di più o che non lo assumevano o lo assumevano raramente. Non sono emerse, invece, differenze significative tra le persone che bevevano più di due tazzine al giorno e quelle che lo consumavano raramente o non lo consumavano affatto.
Coloro che modificavano le loro abitudini, aumentando con il tempo la loro quantità di consumo di caffè, avevano un aumentato rischio, di circa due volte, di MCI rispetto a coloro che avevano ridotto la loro abitudine, e un rischio circa una volta e mezzo in più, rispetto a coloro che avevano mantenuto costanti le loro abitudini in questi consumi.
I risultati dello studio suggeriscono che le persone anziane, con facoltà cognitive nella norma, che non hanno mai bevuto caffè, o lo hanno fatto raramente, e quelle che col tempo ne hanno aumentato il consumo, corrono un rischio maggiore di sviluppare l’MCI. Pertanto, la ricerca conferma chel’assunzione moderata e regolare di caffè può avere effetti neuroprotettivi anche contro il deterioramento cognitivo lieve.
Gli autori hanno ipotizzato diversi meccanismi biologici che possano giustificare gli effetti neuroprotettivi di consumo di caffè osservati in questo studio. Tra questi i più importanti sonoun’azione di attivazione della caffeina sui recettori del neuromodulatore adenosina. Questi recettori svolgono un ruolo chiave nella neuroprotezione e la loro attivazione attenua il danno cerebrale.
Altre ipotesi che possano spiegare l’effetto di neuroprotezione della caffeina sono anche legate al possibile ruolo di modulazione delle lesioni ischemiche a carico dei piccoli vasi della sostanza bianca del cervello. Inoltre, la caffeina potrebbe avere un ruolo neuroprotettivo agendo innalzando i livelli fisiologici comportamentali di vigilanza e dell’attenzione, che sono noti diminuire con l’avanzamento dell’età.
Infine, il consumo abituale e moderato di caffè potrebbe prevenire il decadimento cognitivo lieve attraverso un ruolo di beneficio sulla condizione di neuroinfiammazione subclinica, attraverso una riduzione dello stress ossidativo, che spesso si rilevano in studi su popolazioni di anziani.
«Lo scopo dello studio – affermano gli autori – è generare ipotesi e indirizzare studi futuri che dovrebbero fornire risultati più sensibili, come studi sperimentali di neuroimaging, metabolomica e nutrigenomica così da spiegare ulteriormente i meccanismi alla base degli effetti neuroprotettivi della caffeina. Studi con casistiche più numerose e con periodi di follow-up più lunghi dovrebbero essere incoraggiati con lo scopo di individuare nuove vie di prevenzione dell’Alzheimer legate in generale allo stile di vita ed in particolare alla dieta».