“Per la prima volta
in vita mia, mi sono alzato ed ho abbandonato una conferenza”
di Antonio Cafaro
“Oggi il dovere
della Società Civile deve essere innanzitutto quello di capire le ragioni di
tutti e di onorare coloro che hanno combattuto e si sono sacrificati credendo
in un ideale, da qualsiasi parte fossero collocati. L’associazione Symposium
con questa iniziativa crea sul territorio il
primo evento culturale dedicato all’Unità D’Italia” (dal comunicato
dell’associazione Symposium)
Sono andato alla conferenza, premetto che
ho perso l’introduzione perché sono arrivato con qualche minuto di ritardo.
Per tutto quello che mi è stato possibile
ascoltare, posso affermare che non ho sentito argomenti corrispondenti alle
intenzioni espresse nel comunicato dell’associazione.
I due conferenzieri, e devo dire che sono
stato attento perché stentavo a comprendere il taglio che stavano dando alle
relazioni avendo in mente le attese
legate alla premessa che ho letteralmente riportato dal loro comunicato,
hanno argomentato la cronaca degli eventi, non la storia dell’unità d’Italia e
nemmeno gli ideali che la ispirarono o il retaggio culturale e storico che la
esigeva.
Quando il prof. Giuseppe Osvaldo Lucera
ha concluso invitando a non festeggiare il 17 Marzo, non ho resistito, per la
prima volta in vita mia, mi sono alzato ed ho abbandonato una conferenza.
Io non sono uno storico e la storia non la
conosco come i due studiosi che hanno tenuto le relazioni. Mi è doveroso, per far comprendere a quanti
leggeranno questa mia opinione, riportare in sintesi quello che hanno detto.
Il prof. Angelo D’Ambra ha detto argomentando in vario modo quello che si può sintetizzare
in un concetto: i soldi della massoneria inglese hanno fatto breccia
nell’esercito borbonico per preparare il terreno a Garibaldi.
Il prof. Giuseppe Osvaldo Lucera ha detto che gli
oppositori all’unità d’Italia e quindi al nuovo assetto politico sociale, erano
chiamati briganti ed andavano a morte come tali e non come oppositori politici,
invitando, a ricordo di tutti questi martiri, il 17 Marzo, a non festeggiare
l’unità d’Italia.
Io mi sento Italiano e credo sia giusto
festeggiare il centocinquantesimo dell’unità d’Italia, aggiungo che è opportuno
cogliere l’occasione per fare ancora una volta il punto della situazione
economico-sociale tra nord e sud e da qui strutturare una politica capace di
portare ad una più equa distribuzione della ricchezza sul territorio, senza
scordare il patrimonio economico culturale degli stati prima dell’unione.
Con un pizzico d’orgoglio posso dire che
non ho bisogno di ascoltare Benigni per sentirmi italiano, ma devo dire che una
simile conferenza, dopo l’interpretazione dell’inno di Mameli fatta da Benigni,
è stata veramente deprimente.
Io penso che, all’epoca, fossero tutti
coscienti che unire l’Italia corrispondeva a modificare un assetto politico
economico, e che i sacrifici in termini di vite umane sarebbero stati in
funzione delle resistenze e delle forze in campo.
Lo scopo è stato raggiunto, l’unità c’è
stata perché gli ideali che sostenevano il bisogno di riunire l’Italia erano
condivisibili.
popolari, le storie delle vittime e degli eroi, tutti insieme, motivati,
interpretati e letti nel contesto storico-culturale fanno la Storia.
Senza ideali condivisibili la “Vittoria”
non sarebbe stata “schiava di Roma”.
Ad esempio, circa 70 anni dopo l’unita
d’Italia, un personaggio, tristemente famoso, con un suo ideale di società
voleva conquistare l’Europa, ha solo messo a ferro e fuoco l’Europa e l’Italia,
non è riuscito nel suo intento, non perché non avesse la copertura economica o
alleati, ma perché non era condivisibile il suo ideale: la supremazia della
razza ariana.
Il riemergere di minoranze culturali può
far male all’Italia.
Mi auguro che nella presentazione o nella
conclusione qualcuno abbia riportato la conferenza alle intenzioni espresse
nell’annuncio. Un plauso alle intenzioni e agli organizzatori.
Buon compleanno Italia.
Antonio Cafaro