di Berto Dragano
Dopo le contestazioni dei migranti che protestavano la lentezza della burocrazia per la concessione dei vari permessi relativi al loro soggiorno in Italia, la mancata erogazione del contributo giornaliero e la totale assenza di assistenza sanitaria, l’opinione cittadina è emersa con tutte le sue sfumature.
Dopo i fatti accaduti, si è accesa la corsa a chiedersi se la nostra città sia razzista o no.
Parte la solita giostra speculare sull’appartenenza ideologica. Dal centrosinistra come dallo stesso centrodestra, arriva l’immancabile lezioncina sull’accoglienza e sull’integrazione.
In un momento di forte crisi economica come quella attuale, se vogliamo per forza attribuire a Tizio o Caio l’etichetta razzista, la dovremmo attaccare anche allo Stato italiano.
L’accoglienza e le politiche migratorie applicate sul nostro territorio, determinano una evidente insofferenza della gente nei confronti dello straniero.
Parlando con un responsabile di una struttura locale, mi sono reso conto che appare molto facile parlare di accoglienza, solidarietà e integrazione, ma poi nei fatti tutto diventa molto complicato.
Il modello di accoglienza che gli offriamo non risolve un bel nulla, perché le diverse etnie presenti sul nostro territorio continueranno a stare ognuna per proprio conto e quindi slegate dalla società ospitante. Non è che con il buono pasto o il posto letto in uno dei tanti hotel cittadini, si può pensare di aver risolto i problemi.
Se non si da qualità alla vita con assegnazioni di case e possibilità di lavoro non si potrà mai uscire da questa diatriba speculare sull’accoglienza tout court. E questo passo di civiltà sarà impossibile attuarlo con la politica dell’accomodatevi tutti. Alla fine diventa una guerra tra poveri.
Ci si ribella non al colore della pelle, ma bensì al fatto di essere sfruttati e mal retribuiti alla stessa stregua degli immigrati. E questo non deve avvenire né nei confronti di coloro che vengono nel nostro Paese a cercare migliori condizioni di vita né nei confronti dei nostri concittadini. Invece, purtroppo, i dati parlano di “schiavizzazione” di vasti settori del mondo del lavoro.
Non è che togliendoli dalla clandestinità inverti la tendenza. Agli occhi della gente saranno sempre sgraditi, benché fanno finta del contrario. Non per niente, le diverse comunità vanno ognuna per proprio conto. L’integrazione è solo un contenitore vuoto.
Forse non ci si rende conto che dietro le parole del solito perbenismo di centrosinistra e di centrodestra non c’è nulla, anzi c’è la giungla.
Offrire un alloggio, degli abiti ed un contributo economico non fa altro che irritare quella larga parte dei cittadini, soprattutto giovani, in balìa della precarietà e che ormai vedono come un miraggio l’acquisto dell’agognato appartamento e di un regolare posto di lavoro.
Il sogno del nido d’amore per tante coppie di giovani si allontana sempre più. E la rabbia, giustamente, cresce. Alla fine si scarica anche sugli immigrati.
Il disagio sociale è forte e non si risolve con il falso buonismo, oltretutto vuoto di contenuti. La gente, tutta, ha bisogno di casa e lavoro ben retribuito. Invece finora ci sono solo false bandiere di parte da sventolare. Tanta demagogia e niente più. Al contrario la politica, grandi manager pubblici e privati, nonché altre categorie di privilegiati scorrazza tra auto blu e case blindate difese da eserciti privati e pagati da noi, mentre alla maggioranza della popolazione viene misurato il tasso di razzismo.
Troppo comodo. E troppo ipocrita.