Ma chi era Emanuele Brunatto?
Bene ha fatto il Comune di San Giovanni Rotondo a rendere onore a Emanuele Brunatto con la scelta di organizzare la cerimonia di scopertura della targa onomastica della strada a lui dedicata, nel giorno (domani 22 settembre) in cui la città celebra San Pio. Ma chi era Emanuele Brunatto?
Emanuele Brunatto arriva a San Giovanni Rotondo attratto come tanti altri personaggi dalla fama di santità di Padre Pio, dopo aver letto su “Il Mattino” di Napoli, il 21 giugno 1919, l’articolo di Renato Trevisani che ne parlava in maniera molto dettagliata e appassionata.
Quando vi arriva la prima volta, l’estate del 1920, è un giovane torinese intorno alla trentina, ma con un passato già alquanto burrascoso, avendo esercitato parecchi mestieri e vissuto una vita contrassegnata da espedienti non sempre leciti.
Nato da famiglia benestante per quei tempi e molto religiosa, con madre devota e padre tra i primi penitenti di Don Bosco, appena finiti gli studi liceali presso i Salesiani, anziché farsi sacerdote come avrebbe desiderato da ragazzo, prese a darsi alla bella vita e non ancora maggiorenne si sposò con una ragazza di dubbia moralità e ben due lustri più grande di lui.
Incontra Padre Pio in confessione e la sua vita cambia totalmente. Diventa suo “figlio spirituale” e si dà alla “sua sequela”, rinunciando completamente al suo passato avventuroso fatto di mestieri improvvisati e spesso di avventure galanti.
Si stabilisce a San Giovanni Rotondo definitivamente, prendendo alloggio in un casolare nei pressi del Cimitero e abbandonando la compagnia della ragazza, una certa Giulietta detta la “Riminese”, con cui in un primo momento si era presentato a Padre Pio e che in paese aveva fatto credere sua sorella.
Ogni mattina, per tutti i cinque anni che visse in maniera stabile a San Giovanni Rotondo, faceva a piedi i circa tre chilometri che lo separavano dal Convento dei Cappuccini per servire la Messa a Padre Pio e poi far ritorno al suo casolare, allevando polli e conigli per campare di suo, insieme alle verdure che riusciva a raccogliere nella campagna attorno.
Pur non essendo laureato, vista la sua preparazione culturale in LETTERE E FRANCESE, nel frattempo riceve prima l’incarico d’insegnare ai seminaristi del Collegetto, e poi presso il Ginnasio del paese, come attesta il dr. Michele Capuano in un suo articolo per la “Voce di Padre Pio” del 1978.
Viene come adottato dalla Comunità di San Giovanni Rotondo, per ragioni di opportunità si fa chiamare don Emanuele De Felice, e molti ricorrono a lui per consigli e spiegazioni che solo lui sa dare.
Per la sua stretta vicinanza di vita a Padre Pio, è lui il tramite più diretto per una conoscenza più intima e approfondita del “monaco santo” da parte di tanti Sangiovannesi e dello stesso gruppo di “figlie spirituali” che frequentano il convento.
Come prova della sua integrazione con la gente del paese, Brunatto ha fatto da “padrino” per il battesimo del piccolo Mario Centra, nostro concittadino futuro sindaco di San Giovanni Rotondo, insieme a Maria Pyle, l’americana “figlia spirituale” che da lui, improvvisatosi architetto, si era fatta costruire la sua casa–castello nei pressi del convento per stare il più vicino possibile a Padre Pio.
Ma questo periodo di pace e di paradiso in terra che lo stesso Brunatto ci descrive con tocchi poetici e nostalgici nelle note biografiche che ci ha lasciato, s’interrompe, possiamo dire bruscamente, al sorgere delle ostilità di certi ambienti paesani nei confronti di Padre Pio, per cui lui che gli era vicino, servendogli la Messa tutte le mattine e spesso rimanendo a dormire nella cella accanto alla sua in convento, fu costretto a ergersi suo difensore accanito per far emergere tutta la verità sulla santità del povero frate Cappuccino.
E’ così che scopre il tentativo di un canonico locale per un ricatto a Padre Pio e quando le calunnie contro Padre Pio e le accuse dapprima paesane e poi diocesane e perfino vaticane contro il suo operato di sacerdote in preghiera, per la redenzione delle anime e la conversione dei peccatori che andavano a confessarsi da lui, si moltiplicarono e giunsero entro il colonnato di San Pietro a Roma, allora Brunatto estromesso per ordine del Sant’Uffizio dal frequentare il convento dei Cappuccini e Padre Pio, e quindi libero da vincoli e limiti di sorta, assunse tutta un’altra veste e forte dei documenti che nel frattempo aveva raccolto in difesa di Padre Pio, spostò il suo raggio d’azione a Roma e qui, insieme al cavaliere Francesco Morcaldi, prima sindaco e poi podestà di San Giovanni Rotondo, si battè strenuamente presso i dicasteri vaticani, con ogni mezzo, pur di far emergere la verità su Padre Pio e liberarlo dai lacci che lo tenevano agli “arresti domiciliari” in convento, pure non essendo “sospeso a divinis”.
La pubblicazione del suo “Padre Pio da Pietrelcina” nell’aprile del 1926, la prima biografia scritta da Brunatto per illustrare le virtù e i carismi straordinari del suo Padre spirituale, non valse a far mutare il verdetto del Vaticano nei confronti di Padre Pio, ormai sotto stretta vigilanza del Sant’Uffizio per i dubbi fatti piovere dai denigratori sulla sua santità.
Insieme al fido cavalier Morcaldi, con il quale ha affrontato abbondantemente la lotta per impedire il trasferimento di Padre Pio da San Giovanni Rotondo, Brumatto nemmeno riuscì a far cambiare sostanzialmente il quadro della situazione al convento di Santa Maria delle Grazie, nonostante che proprio il suo libro “Padre Pio da Pietrelcina”, presto pubblicato e ritirato dalla circolazione per interdetto vaticano, avesse provocato prima un’inchiesta di mons. Bevilacqua nel 1927 e poi un’altra di mons. Bruno l’anno seguente 1938, che praticamente lasciò quasi tutto invariato.
Con “Lettera alla Chiesa”, sempre insieme al cavalier Morcaldi, della cui firma si valse per la pubblicazione di questo libro-denuncia, cercò di avvertire gli organi supremi del Vaticano perché intervenissero a dirimere la questione della piena libertà sacerdotale per Padre Pio a San Giovanni Rotondo.
Anche l’estremo tentativo di Morcaldi di cedere al Vaticano tutti i libri e tutta la documentazione di “Lettera alla Chiesa” con la cosiddetta “operazione candelabri”, all’insaputa di Brunatto che nel frattempo si era trasferito a Parigi per trattare l’affare dei famosi “brevetti Zarlatti” riguardanti il traffico ferroviario e che in certo modo dovevano assicurare gran parte del finanziamento per la costruzione della “Casa Sollievo della Sofferenza”, cioè per la realizzazione del “sogno terreno “ di Padre Pio, andò in fumo e non ricavò nessuna variazione nella condizione di Padre Pio, anzi l’aggravò, perché fu allora che il Vaticano l’11 giugno 1932 ne decretava praticamente gli “arresti domiciliari” con l’ingiunzione a Padre Pio di “non celebrare più la Messa al pubblico in chiesa”, ma solo in privato nel “sacello” del convento.
A questo punto, tutti i buoni propositi dei due strenui e sventurati “difensori laici” di Padre Pio, il battagliero Brunatto e il più mite Cavalier Morcaldi, andarono in frantumi con l’effetto amaro della rottura dei rapporti tra i due combattenti, che dopo un aspro litigio si videro costretti a seguire ciascuno la propria strada.
Ma, a dispetto della disdetta per la mancata soluzione del “caso Padre Pio”, e con tutto l’amaro in bocca per come “Ciccillo” Morcaldi, si fosse fatto imbrogliare dai “volponi” del Vaticano, non appena si rese conto di come la situazione di Padre Pio anzi fosse peggiorata, da Parigi in Francia dove ormai viveva, ancora una volta raccolse tutti i documenti in suo possesso e nel giro di poco tempo annunciò la pubblicazione a breve de “Gli Anticristi nella Chiesa di Cristo”, un nuovo libro-denuncia che già nel titolo era tutta una minaccia, più grave ancora della stessa “Lettera alla Chiesa”, che alla fine non aveva sortito alcun effetto a favore di Padre Pio sugli organi decisionali del Vaticano.
Ora, è di fronte a questo nuovo evento, cioè alla probabilità di un grave scandalo nella Chiesa che il Vaticano viene messo senza mezzi termini, e Brunatto non ci pensa due volte dopo tutti i rinvii e le indecisioni degli organi supremi ecclesiastici, a fare il muso duro e a resistere a ogni tentativo per rabbonirlo, nemmeno quando si fa intervenire direttamente lo stesso Padre Pio, che in obbedienza agli ordini ricevuti dall’alto, si mette di mezzo e gli scrive accoratamente per indurlo a recedere dalla pubblicazione del libro, nonostante fosse in sua difesa.
Brunatto, così, per difenderlo dagli intrighi della diplomazia vaticana e di coloro che in definitiva ostacolavano il cammino di santità del suo Padre spirituale, con il cuore che gli sanguina, dice no allo stesso Padre Pio, il quale a sua volta si addolora per la sua ostinazione.
Ed è qui che viene fuori la tempra dura di Brunatto, la scorza dell’uomo di mondo che sa come vanno le cose della vita, quando si tratta di giocare tutte le carte che si hanno in mano per poter vincere la partita.
Ma fu solo così, esercitando cioè tutta la sua perizia e la sua abilità nel giostrare al limite del ricatto con le autorità vaticane, che riuscì veramente a far “liberare” Padre Pio, ponendo fine a quella che fu la sua “prima persecuzione”.
Per completare la figura di Emanuele Brunatto, il peccatore pentito – difensore di Padre Pio, durante la “seconda persecuzione” subita negli anni sessanta più dura e dolorosa della prima, tratteremo in un altro momento.
Qui, per spiegare e capire perché San Giovanni Rotondo deve essere grato a Emanuele Brunatto, anche e concretamente per la costruzione del nostro ospedale “Casa Sollievo della Sofferenza”, non solo perché ha difeso strenuamente Padre Pio, diciamo che in osservanza della promessa di lavorare e di contribuire con tutte le sue forse alla realizzazione dell’«opera terrena» del suo Padre spirituale, il 3 giugno 1941 da Parigi in Francia, dove ormai viveva, fece pervenire al Comitato per la costruzione della “Casa Sollievo”, un bonifico della Banca di Credito Italo-francese di ben 3 milioni e 500 mila franchi francesi, pari a 350-400 milioni di lire di allora corrispondenti, secondo alcune stime, ad almeno 7 milioni di euro attuali.
Raffaele Augello