La tutela dei Beni culturali e la mancanza di coraggio
di Maurizio Tardio, giornalista
I ruspanti relatori dei seminari sulla Via Francigena del Sud non hanno mai letto Renato Stopani. Colpa grave, ma non mortale. Non è indispensabile, infatti, per chi vuole realizzare un percorso turistico, ma è fondamentale per chi vuole organizzare la fruizione dell’antica Strata. In provincia di Foggia, a seguire gli incontri itineranti, battezzati con troppa enfasi seminari di studi, sulla Via Francigena del Sud ci si rende conto di quanta improvvisazione alberghi nell’affascinante mondo della tutela e valorizzazione dei Beni culturali. La tutela dei Beni culturali paga dazio, dopo stagioni di emarginazione, alle teorie veltroniane, che hanno marginalizzato il core business della tutela dei beni culturali affiancandovi attività come lo sport, lo spettacolo e il turismo.
Un po’ come oggi sta succedendoper la Via Francigena, dove camminatori, viandanti, “scopritori della natura” (che “vorrebberofare di san Francesco un rappresentante della New Age”) vogliono marginalizzare i pellegriniche da secoli percorrono strade e sentieri senza aver bisogno di indicazioni, mappe o gps (come dimostrano i pellegrini accolti nel convento di San Matteo a S. Marco in Lamis o di san Leonardodi Siponto). Così dodici anni dopo il Giubileo la provincia di Foggia è chiamata ad essere parte di un grande progetto, ma la Via Francigena sarà una ulteriore occasione sprecata (e la Capitanata,oggi come allora, reciterà un ruolo di assoluta inadeguatezza), come spesso avviene quando si tratta di Beni culturali, e come sempre più drammaticamente succede quando si accosta alla cultura o alla religione il turismo.
Occorre invece un radicale cambiamento di ottica e una politica dei Beni culturali più coraggiosa e lungimirante (caratteristiche che mancano all’attuale governo regionale). Perché il tema in questione non è la valorizzazione ma la tutela, ovvero la “conservazione nel tempo”, del patrimonio culturale. Come ha drammaticamente dimostrato il sisma in Emilia, il nostro paese esalta i genius loci ma dimentica la tutela delle sue forme di rappresentanza sul territorio. C’è poco patrimonio culturale capace di rispondere a criteri di sicurezza e di salvaguardia (intesa non come restauro) di un bene che rischia di trasformarsi, progressivamente, in una rovina e a essere cancellato dalla Storia.
Ricordo come in Capitanata il dibattito sulle opere giubilari fosse incentrato sul nuovo tracciato della statale Foggia-S. Giovanni Rotondo, oppure sul numero degli stalli nel megaparcheggio di Borgo Celano (poi finito al centro anche di un’inchiesta dell’antimafia). Oggi la vecchia statale è rimasta uguale e il parcheggio deserto, mentre sono mancati i turisti che avrebbero dovuto riempire le numerose strutture ricettive (ora archeologia urbanistica), realizzate anche su spinta degli esperti di marketing e di sviluppo del territorio. Di contro il patrimonio culturale ha segnato un progressivo impoverimento e quello che doveva rappresentare il valore primario di un’offerta è diventato l’aspetto marginale. Per la Via Francigena si ripropone la stessa ricetta – certo utilizzando termini più suggestivi – sostituendo, magari, gli alberghi con gli ostelli o gli “hospitali”. In una stagione di crisi economica, sul tema della tutela dei Beni culturali si gioca la verapartita della rinascita italiana e del Vecchio continente, perché significa costruire una “nuova europa”.
La vera sfida non è la promozione ma la tutela e la sicurezza del territorio. Ma ciò che è fondamentale è superare una sorta di analessi che appartiene a chi muove le fila di progetti sullo sviluppo territoriale. In altre parole: se non conosco ciò da cui dico diprendere spunto che senso ha assumere ruoli e disegnare scenari d’interazione, addirittura internazionali? Farò marketing, anche di un certo effetto, nei migliori dei casi letteratura, ma non sarò capace di raccontare un fatto accaduto in precedenza. Ovvero dimenticherò, ancora una volta, il vero senso di Bene culturale. Ecco perché, se voglio parlare della Strata Francigena, devo aver letto Stopani, ma se voglio collegarla a un contesto innovativo e rivoluzionario della fruizione dei Beni culturali (da considerarsi nell’ottica della prevenzione paesaggistica e secondo le speranze, più volte espresse,da Domenico Cosimo Fonseca) devo fare riferimento, ad esempio, a Salvatore Settis. Perché non posso “vendere” se non ho consapevolezza di me stesso. Se maltratto la mia Memoria per inseguire suggestioni mediatiche, avrò svenduto il mio patrimonio e sarò costretto a disegnare sempre “nuove mete” per mantenere vivo l’interesse su qualcosa che viva non è più. Per dirla con le parole di Settis. C’è bisogno “di un’Italia memore di se stessa e non ansiosa di svendersi. Si richiede un lavoro di prevenzione, guidato da un forte ministero del Patrimonio che unisca ambiente, paesaggio e beni culturali. Anche il turismo, purché ci ricordiamo che non è per i turisti, ma per noi stessi, che la Costituzione ci impone la tutela della nostra storia e del nostro territorio”.
Presidente Vendola, assessore Godelli perché non provare a farlo in Puglia, cambiando radicalmente la politica sui beni culturali?