Ricordati di volermi bene
A cura della dottoressa Maria Erika Di Viesti
Psicologa clinica e della salute
Formata in Psicodiagnostica clinica e forense e Neuropsicologia clinica e riabilitativa
Ad oggi sempre più frequentemente abbiamo a che fare, soprattutto nel nucleo familiare, con malattie che non si vedono. Che non si vedono perché coinvolgono l’aspetto più preponderante, che è quello emotivo, e spesso tralasciamo che anche il nostro cuore ha occhi. Occhi che si rifiutano di vedere o accettare alcuni cambiamenti, da parte di persone che sono sempre state il nostro punto di riferimento, le nostre guide, i nostri compagni di gioco, i nostri antagonisti che ci ricordavano di non tornare a casa tardi la sera e di fare i compiti! Occhi che si rifiutano di vedere il cambiamento dei ruoli, figli che devono diventare genitori, e genitori che diventano figli, quasi bimbi capricciosi a cui dover insegnare quasi tutto nuovamente.
… Sapete di cosa sto parlando,vero?
Delle malattie neurodegenerative, più comunemente conosciute come demenza, Alzheimer, Parkinson ecc…
La Demenza, intesa come patologia primaria, è appunto caratterizzata dalla somma di più deficit neuropsicologici acquisiti che frequentemente si associano a disturbi del comportamento, dell’umore, e dell’affettività, determinando un impatto importante sul contesto sociale e familiare della persona affetta. Spesso i membri della famiglia diventano caregiver (colui che accudisce) offrendo assistenza e cure continuative che li espongono ad un impiego di risorse elevato che vanno a risucchiare la linfa più sana che è quella delle dinamiche relazionali.
Cosa manca in questo tran tran di emozioni, cose da fare e preoccupazioni?
La consapevolezza.
La consapevolezza è la porta verso il cambiamento e quando viviamo situazioni nelle quali percepiamo stress eccessivo ci troviamo spesso a correre incessantemente senza sapere realmente in che direzione stiamo andando. Se restiamo ancorati ai valori che predominano nel nostro cuore cambierà il modo sia di vivere la relazione con la persona che con la malattia.
Spesso sentiamo palare della demenza come un ladro di memorie, di linguaggio, una casa dentro alla quale tutte le luci si spengono, una nebbia che avvolge la persona impedendole di tornare ad essere lì.
Ma se non fosse solo questo?
Se fosse un viaggio dentro l’essenza, dentro a forme di comunicazione speciali ma efficaci?
Nonostante la malattia, esiste una strada coraggiosa per ascoltare, ed è quella delle emozioni. Difatti, non esiste una senilità emozionale, perché le persone con demenza sentono perfettamente le proprie emozioni e quelle delle persone che gli sono accanto!! Le emozioni non sono malattia, ma l’espressione di una intelligenza emotiva che può essere il ponte a nostra disposizione per vivere le possibilità nonostante la malattia.
Umanizzare le cure: non significa solo prestare più attenzione alle esigenze e ai bisogni di chi viene assistito, ma coltivare a straordinaria bellezza dell’essere umano Evitare le emozioni personali mina il processo di aiuto stravolgendone i significati e crea un distacco che non è terapeutico nella costruzione della relazione.
“La vita non finisce con la diagnosi”: questa frase è il fulcro significante che dimostra quanto la vita emotiva delle persone che convivono con la demenza sia conservata in tutte le fasi della malattia.
I sintomi dunque non rappresentano esclusivamente un problema da risolvere, bensì un messaggio da accogliere, comprendere, e soprattutto vivere per preservare la memoria del cuore, oltre ogni malattia.