Analfabetismo emotivo
A cura del dottor Antonio Pio Longo
Psicologo del lavoro e delle organizzazioni
Nell’articolo di oggi parleremo di emozioni.
Voglio partire da un episodio accaduto nel Giorno della Memoria che si celebra il 27 gennaio, giorno dedicato alla commemorazione delle vittime dell’Olocausto, cioè il genocidio razziale – operato per mezzo di campi di concentramento con camere a gas e forni crematori di cui fu responsabile la Germania nazista e i suoi alleati durante la seconda guerra mondiale – nei confronti di uomini, donne e bambini colpevoli solo di esser considerati dall’ideologia nazista come appartenenti a razze inferiori che andavano eliminate.
L’episodio in questione è quello del tema scritto da un ragazzo di scuola superiore del quartiere Ponticelli di Napoli sull’argomento appunto dell’Olocausto. Il ragazzo ha consegnato il tema scrivendo una frase soltanto, potentissima: “Sò tutt’ muort’ abbruciat”, cioè “sono tutti morti bruciati”.
Per questo oggi voglio parlare dell’alessitimia, cioè la difficoltà nel riconoscere ed esprimere le emozioni nella relazione con gli altri e nel riconoscere le sensazioni corporee ad esse collegate. Possiamo tranquillamente dire che l’alessitimia è il contrario dell’empatia che è la capacità di riconoscere ed esprimere le emozioni.
L’alessitimia oggi viene considerata come una componente del costrutto più ampio definito “disregolazione emotiva”, quindi come un deficit della regolazione affettiva. Anche l’empatia oggi viene considerata come una componente di un costrutto più ampio, quello dell’intelligenza emotiva.
Quindi l’alessitimia va vista come la capacità di regolare i propri stati interni, comprendere le emozioni negative e metterle in equilibrio con quelle positive senza aver bisogno di compensarle con azioni o comportamenti disfunzionali verso se stessi, come ad esempio l’abuso di sostanze e/o farmaci oppure modificando il rapporto col cibo. Altre volte questa compensazione delle emozioni negative avviene rifugiandosi nelle relazioni con gli altri, facendo finta di niente, evitando la comprensione e così la “metabolizzazione” dell’emozione negativa rimandando puntualmente il momento di conoscerla e affrontarla.
Per preparare le future generazioni a saper esprimere e riconoscere le emozioni verso se stessi e verso gli altri, c’è bisogno di procedere con una alfabetizzazione emotiva che non può non partire dalla scuola, ma non solo.
Vivendo in una società in cui il contatto interpersonale sta diventando sempre meno frequente a causa della digitalizzazione e della tecnologia che ci permettono di chattare e vederci (virtualmente) ogni volta che vogliamo, il vedersi dal vivo e la condivisione degli spazi sociali è sempre meno frequente. Questo accade non solo tra pari ma, soprattutto, tra genitori e figli.
Tutto questo crea l’analfabetismo emotivo.
Infatti l’essere umano impara a gestire e riconoscere le emozioni proprie e altrui solo dalle relazioni interpersonali. Possiamo ben capire quando sia estremamente importante che l’adulto (insegnanti, genitori e familiari in generale, educatori) che accompagna passo passo lo sviluppo del bambino/a e l’educazione del ragazzo/a devono favorire l’incontro interpersonale e di gruppo facilitando in questo modo quel processo naturale che è dentro ognuno di noi, dentro ogni bambino/a, che come un pilota automatico permetterà di apprendere e conoscere le emozioni proprie e altrui.
In altre parole…
sviluppare l’intelligenza emotiva per evitare l’analfabetismo emotivo.