Indi Gregory: perdere un figlio restando genitori
A cura della dottoressa Maria Erika Di Viesti
Psicologa clinica e della salute
Formata in Psicodiagnostica clinica e forense e Neuropsicologia clinica e riabilitativa
L’idea di questo articolo nasce guardandomi intorno, ponendomi delle domande su emozioni e vissuti, su quanto alcune cose che capitano, sia lontane che più vicine, a volte risultano quasi surreali o inaccettabili, quasi come un’eco, quella lontana… … che scorre via, flebile… che senti a malapena.
Sì la senti, ma non è lì. Non è troppo vicina da farci cosi male né cosi lontana per restarne indifferenti. E nulla, così ho cominciato a pensare a quanti tipi di dolori esistono e se ognuno a modo suo sia insormontabile o affrontabile, e in che modo.
Ho centrato il mio focus su questa bambina: Indi, la neonata inglese affetta dalla nascita da una rara malattia genetica degenerativa. Per i medici del Queen’s Medical Centre di Nottingham e per i giudici britannici la malattia di Indi era terminale e per questo la corte inglese, nonostante l’opposizione dei genitori, ha deciso di interromperle le cure.
Mi sono soffermata a riflettere sulla grandezza di questo dolore genitoriale, sul perché a volte la vita ci metta di fronte questi avvenimenti così inaccettabili e innaturali.
Certo è solo uno dei tanti argomenti su cui focalizzare, perché per tutto quello a cui assistiamo oggi se volessimo centrare su tutto ce ne sarebbero diversi di canestri da fare! E anzi, vi invito sentitamente a pensarle e riflettere sempre su determinate cose in maniera emotiva e costruttiva!
Ma la prima cosa semplice da capire è proprio quella che nessuno è mai e poi mai pronto ad un simile dolore.
Chiudersi nel proprio dolore, pensando che nessuno mai potrà capirlo non va fatto, mai. Chiuderebbe le porte del ricordo mirato ad onorare quella che è stata la vita di un figlio, lasciando posto a quella nostalgia che non ci fa più funzionare perché diventa tristezza, e poi chiusura, e poi depressione.
La morte di un figlio porta il mondo a fermarsi, il tempo è sempre uguale e anche il nostro corpo e i nostri pensieri sembrano paralizzarsi. E si sta fermi, ad aspettare che qualcosa scorra… …
Non bisogna restare soli! La solitudine muove verso questo tipo di paralisi che porta un genitore a pensare che nulla ha più senso! E invece, quel baratro, quel dolore che scava dentro va usato come un trampolino di lancio verso la gestione di tutte quelle emozioni che in quel tumulto silente, logorano lentamente. Bisogna imparare ad accettare anche le proprie emozioni negative, a lavorarle, a trasformarle. Bisogna piangere, ricordare, perché è cosi che si elaborerà questo dolore. Non sparirà.
No. Ma si
trasformerà. Si trasformerà in un ricordo che deve vivere, si trasformerà in
una vita che continuerà ad esistere attraverso emozioni, racconti, e anche
attraverso la tristezza. Ma un genitore che subisce un lutto non deve mai e poi
mai pensare che quel dolore non avrà mai fine. Si attenuerà, si trasformerà, si
respirerà di nuovo e ancora… …
Non datevi colpe, non trascurate chi vi circonda, abbiate cura di altri componenti della famiglia, del partner, di voi stessi, della vita.
Non trattenete quel dolore come unico, ma condividetelo, rendetelo vivo ancora e ancora, perché solo in questo modo continuerà ad esistere quel pezzo di voi che la vita vi ha portato via. Custoditelo gelosamente, esaltatelo. E se non riuscite, se tutto questo è troppo difficile, non abbiate il timore di chiedere aiuto a chi vi è vicino, ad un professionista, non esitate ad affidarvi, a farvi aiutare.
Il dolore parla un’unica lingua, ed è comprensibile da tutti.
“La morte è qualcosa che non si può capire, che gli adulti vedono con rabbia e i bambini con stupore…” – recita una frase che ho letto.
La cosa più sana da fare è riconoscere la propria perdita e convalidare i propri sentimenti. La mancanza di supporto sociale o di figure specializzate , la chiusura in sé stessi, il non riconoscimento emotivo del proprio lutto, sono fattori per cui questa elaborazione può risultare dannosa sia a livello fisico che psicologico.
Bisogna che i genitori si diano la possibilità di comprendere che ancora tanto si può fare e deve essere fatto. Per sé stessi, per chi gli è vicino, e per quell’amore incondizionato che merita invece di non morire mai.