L’apprendimento cooperativo
A cura del dottor Antonio Pio Longo
Psicologo del lavoro e delle organizzazioni
Questo articolo nasce dall’incontro che ho avuto qualche giorno fa con una mia vecchia amica che da 15 anni è insegnante di ruolo in una scuola della provincia di Milano, non molto distante dalla Scuola di Pioltello intitolata a “Iqbal Masih”* di cui abbiamo sentito tutti parlare nei vari canali televisivi e social-media perché ha deciso di restare chiusa simbolicamente in occasione del giorno di chiusura del Ramadan. Per chi non lo sapesse, il Ramadan che nel 2024 inizia l’11 marzo e termina il 9 aprile, è un mese del calendario islamico in cui i musulmani sono tenuti a digiunare dall’alba al tramonto astenendosi anche dal consumo di acqua. Il digiuno non è obbligatorio per i vecchi, i malati, i bambini, le donne incinte e che allattano. Alla conclusione di questo mese di digiuno religioso, c’è una festa di tre giorni, chiamata Id-al-Fitr (festa della interruzione del digiuno). La festa consiste nel ricongiungimento con parenti ed amici vicini e lontani, con relativi pranzi in famiglia e scambi di regali soprattutto per i bambini ma anche tra adulti dove i regali diventano omaggi.
Tornando al felice incontro avuto durante le festività pasquali appena trascorse con la mia amica insegnante che si chiama Francesca, dopo le domande di rito “come stai? quando sei tornata? e quando te ne vai?” da fare rigorosamente in serie (e chi è stato fuori paese per un po’ di tempo come me capirà benissimo a cosa mi riferisco!), la nostra conversazione non poteva non atterrare sull’episodio della chiusura della scuola di Pioltello sopra citata. Anche Francesca, che insegna matematica, ha diverse classi con più o meno il 40% di alunni e alunne di etnia diversa da quella italiana che professano una religione diversa da quella cristiana cattolica, come nel caso della scuola di Pioltello che ha deciso di prendere questa coraggiosa e inedita decisione di restare chiusa in occasione della festività di chiusura del Ramadan. Ci siamo salutati dopo aver parlato di questo per un paio d’ore, confrontandoci sulla dimensione sociale sempre più interculturale che ci aspetta in futuro e considerando vari aspetti cruciali come il calo demografico, cioè la presenza di meno bambini italiani, già in corso da anni e che si accentuerà in futuro stando alle proiezioni degli istituti statistici specializzati. Eravamo d’accordo sull’aspetto dell’integrazione interculturale che dovrebbe essere intesa come uno strumento pedagogico e di educazione da implementare in modo più strutturato nelle scuole di ogni grado. Infatti alcuni suoi colleghi e colleghe, mi diceva Francesca, sono proprio intolleranti alla diversità culturale (e razziale) e che secondo lei avrebbero bisogno di essere seguiti da qualcuno per essere aiutati a svolgere il loro lavoro di insegnati ed educatori al meglio delle loro potenzialità, anche in termini di tutela del loro stesso benessere psico-fisico personale.
Tornato a casa dopo l’incontro, sono andato a consultare il manuale “Psicologia Sociale” che studiai durante la mia specializzazione in Psicologia Sociale, il famoso “Aronson” che prende il nome dal suo scrittore, cioè Eliott Aronson. Avrei anche potuto scrivere su Google e perdere ore nella lettura di articoli ma soltanto leggendo l’indice del mio manuale preferito, ho trovato in un batter d’occhio quello che cercavo e di cui vi parlerò in questo e nel prossimo articolo: l’apprendimento cooperativo e il modello “Jigsaw” con la sua sperimentazione pratica ideato e realizzato da Aronson stesso durante gli anni ’70 negli U.S.A. Come se un segno del destino che mi avesse indicato la via (il manuale è un mattone di 400 e passa pagine) mi sono catapultato in quelle pagine cercando il modo pratico di dare una mano a Francesca, e come vedrete nel prossimo articolo, ci sono riuscito!
L’apprendimento cooperativo, con l’esperimento sull’effetto Jigsaw ideato negli anni ’70, rappresenta un pilastro nella ricerca sulla cooperazione e la riduzione dei pregiudizi razziali in ambito educativo e sociale. Questo esperimento è stato concepito in risposta alle tensioni razziali e alle difficoltà di integrazione nelle scuole degli Stati Uniti, in un periodo storico segnato da profonde divisioni sociali che hanno visto protagonisti gli afro-americani nel tentativo di appropriarsi dei propri diritti palesemente negati. L’obiettivo principale dell’esperimento era quindi di migliorare le relazioni interrazziali nelle classi eterogenee, promuovendo al contempo l’apprendimento collaborativo e il rispetto reciproco tra gli studenti.
Aronson ha ipotizzato che mettere gli studenti in una situazione in cui fossero dipendenti gli uni dagli altri per il successo del gruppo avrebbe potuto ridurre i pregiudizi e migliorare le relazioni interpersonali. L’approccio utilizzato è stato quello di dividere le classi in piccoli gruppi eterogenei, sia in termini di razza che di prestazioni accademiche. Per avere successo nell’attività complessiva o nel progetto, ogni studente doveva collaborare con gli altri membri del gruppo rendendo essenziale l’interazione interpersonale tra ascolto attivo e capacità di comunicare efficacemente.
Nel prossimo articolo vedremo nel dettaglio questo modello che tutti gli insegnanti possono usare dall’oggi al domani, infatti è un vero e proprio strumento facile da mettere in pratica nelle classi scolastiche di ogni grado a patto che ci sia la voglia e volontà concreta di trasformare la diversità etnico-culturale, che anche San Giovanni Rotondo saranno sempre più presenti, da problema in opportunità, andando a mettere solide basi per la nostra comunità del futuro.
Iqbal Masih*, il ragazzino pakistano divenuto in tutto il mondo il simbolo della lotta contro lo sfruttamento del lavoro minorile.
La sua morte, avvenuta il 16 aprile 1995, è tuttora avvolta nel mistero.
A soli dodici anni fu colpito da una raffica di proiettili alla schiena da un uomo. Secondo le prime testimonianze venne ucciso da un tossicodipendente. Nel rapporto della polizia si parla invece di una lite con un agricoltore del posto.
Il sindacato BLLF, però, non cessò di accusare la cosiddetta “mafia dei tappeti”, ovvero i gruppi di potere dell’industria tessile locale che non avevano digerito l’attività di Iqbal.