La psicologia dell’obbedienza
A cura del dottor Antonio Pio Longo
Psicologo del lavoro e delle organizzazioni
Nell’articolo di oggi ci addentreremo nel tema dell’obbedienza, cioè quel fenomeno per cui le persone seguono le istruzioni o gli ordini di un’autorità, anche quando tali comandi possono entrare in conflitto con i propri principi morali o con il benessere altrui. Lo faremo tramite uno degli esperimenti più famosi e controversi nella storia della psicologia, l’esperimento dello psicologo Stanley Milgram (New York, 1933 -1984) svolto nel 1961 negli U.SA. Questo studio ha dato letteralmente vita uno dei campi di ricerca più importanti della psicologia sociale: la psicologia dell’obbedienza. L’obiettivo dello studio era comprendere fino a che punto le persone comuni sarebbero disposte a obbedire a un’autorità, anche se ciò significava causare sofferenza a un’altra persona. L’esperimento fu ideato dopo il processo di Adolf Eichmann, un ufficiale nazista, durante il quale Eichmann si difese sostenendo di aver semplicemente “eseguito ordini”. Milgram voleva esplorare se l’obbedienza a un’autorità potesse spiegare il comportamento degli individui coinvolti in atrocità. Aiuta a spiegare perché le persone possano partecipare a crimini di guerra, a brutalità istituzionali o a sistemi di oppressione, spesso senza mettere in discussione la legittimità delle loro azioni. Questo vale per tutte le guerre dove ad eseguire le atrocità quasi mai sono coloro che le ordinano. Infatti, come vedremo, l’elemento della distanza fisica tra chi ordina e chi esegue gli ordini è un elemento cruciale.
L’obbedienza, a differenza della semplice conformità che implica adattarsi ai comportamenti del gruppo per sentirsi accettati, è una risposta diretta a un comando specifico, generalmente dato da qualcuno con potere o status superiore. La psicologia dell’obbedienza ci aiuta a capire perché le persone possano partecipare a crimini di guerra, a brutalità istituzionali o a sistemi di oppressione, spesso senza mettere in discussione la legittimità delle loro azioni.
L’esperimento svolto da Milgram nel 1961 coinvolgeva partecipanti reclutati tramite un annuncio di giornale per partecipare a uno studio scientifico sulla “memoria e apprendimento”. I partecipanti non sapevano che lo scopo reale dell’esperimento era esaminare l’obbedienza all’autorità. I partecipanti venivano divisi in due ruoli: “insegnante” e “allievo”. Tuttavia, questo processo era manipolato, poiché il “vero” partecipante assumeva sempre il ruolo dell’insegnante, mentre l’allievo era un attore (complice di Milgram). L’insegnante riceveva istruzioni di somministrare scosse elettriche crescenti all’allievo ogni volta che quest’ultimo rispondeva in modo errato a una domanda di memoria. Le scosse non erano reali ma l’insegnante non lo sapeva: l’allievo, cioè l’attore complice di Milgram, simulava dolore e sofferenza sempre più intensi a mano a mano che la scossa elettrica aumentava.
Una delle varianti più significative dell’esperimento prevedeva che l’insegnante fosse fisicamente più distante dall’allievo. In questa versione, l’insegnante lasciava l’allievo in una stanza separata, e le interazioni avvenivano solo attraverso un interfono. In questa configurazione, l’insegnante non poteva vedere l’allievo e percepiva solo le sue proteste udibili a distanza. In queste condizioni, il livello di obbedienza aumentava notevolmente: i partecipanti erano più propensi a continuare a somministrare scosse elettriche perché l’impatto emotivo delle sofferenze dell’allievo era attenuato dalla distanza fisica e dall’assenza di un contatto visivo diretto.
Un’altra variante prevedeva che l’insegnante fosse nella stessa stanza dell’allievo, rendendo le proteste e le espressioni di dolore molto più tangibili e visibili. In questo caso, il livello di obbedienza diminuiva, poiché la vicinanza fisica rendeva più difficile per i partecipanti ignorare l’umanità della persona che stavano apparentemente danneggiando con le scosse elettriche. Queste modifiche sperimentali illustravano chiaramente come il grado di separazione fisica ed emotiva influisse sulla capacità delle persone di seguire ordini dannosi.
In modo scioccante, i risultati hanno mostrato una percentuale molto alta di partecipanti (circa il 65%) arrivò a somministrare la scossa massima di 450 volt, anche quando l’allievo mostrava segni di grave disagio o implorava di essere liberato. Molti partecipanti nel ruolo degli insegnanti mostrarono segni di ansia, disagio e tensione, ma continuarono comunque a obbedire alle istruzioni dell’autorità rappresentata dallo sperimentatore in camice bianco, il quale assicurava loro che “nonostante tutto, l’esperimento deve continuare”.
Oggi, l’esperimento di Milgram è considerato una pietra miliare della psicologia sociale e continua a essere un punto di riferimento per coloro che studiano la psicologia dell’obbedienza al fine di comprendere fenomeni sociali complessi, come la conformità di massa e la responsabilità individuale. Le sue scoperte sollevarono importanti questioni etiche e morali, poiché lo studio mostrò che persone ordinarie possono diventare strumenti di azioni dannose semplicemente perché ricevono ordini da un’autorità legittima. L’esperimento fu, inoltre, oggetto di critiche per via del forte stress psicologico inflitto ai partecipanti, che si sentivano in colpa e turbati dalla loro stessa capacità di fare del male. Da allora, gli standard etici per gli esperimenti psicologici sono stati significativamente rafforzati.