La crisi dell’adolescenza
A cura della dottoressa Pamela Longo
Psicologa e Psicoterapeuta
Sulla scia del tema che coinvolge la crisi identitaria del ruolo genitoriale, in particolare, per ciò che concerne l’autorità, proviamo ad osservare quelli che sono gli effetti ai quali siamo assistendo, che destano preoccupazione soprattutto in quel periodo chiamato adolescenza, che pare quasi essere scomparso nella sua accezione più tradizionale e appare travestito da qualcosa d’altro.
Come fase evolutiva, l’adolescenza è certamente complessa, poiché si traghetta verso l’essere adulti a partire dall’infanzia fin lì vissuta, unitamente agli scompensi ormonali e fisiologici di un corpo in evoluzione e trasformazione e con l’ingresso di nuove agenzie di socializzazione e, dunque altri riferimenti importanti, mentre quelli che fin lì lo sono stati perdono apparentemente il loro valore iniziale. Ciò che fino a quel momento era certo, diventa incerto e sconosciuto, tutto ciò che appariva normale non lo è più e ciò che anormale era inizia a far parte della normalità.
Come si approda in questa fase, fa grande differenza; infatti la qualità della relazione primaria vissuta, resta il fortissimo substrato sul quale si svilupperà l’identità futura.
Se fino a quel momento è proceduto tutto abbastanza bene, i giovani adolescenti cominceranno l’irruento processo di separazione dai propri genitori, coinvolgendoli in un burrascoso turbinio emotivo in cui la conflittualità si svolgerà a cielo aperto. Delle lunghe chiacchierate e confidenze, quasi non ve ne sarà più traccia, è il tempo dell’esperienze “fuori casa”, dall’intensa carica emotiva, delle trasgressioni alle regole, utile a sperimentarsi aldilà del noto, per poi ritrovare la retta via, dell’imperfezione, del lasciare andare il dovere per far spazio a tutto il resto.
È il tempo del “perdersi” per ritrovarsi intorno ai vent’anni in quel dialogo abbandonato ma mai dimenticato.
Negli ultimi anni, ciò a cui stiamo assistendo però è una crisi dell’età adolescenziale, poiché gli adolescenti hanno smesso di esserlo, assomigliando più a degli adulti in miniatura, stressati dalla routine quotidiana iper-farcita da mille impegni, estremamente performanti e preoccupati per le vicende scolastiche, le quali assumono una connotazione totalizzante, in grado di definire il loro essere sulla base del risultato ottenuto. Quando va “bene”, li ritroviamo impegnati in qualche relazione, che rasenta la superficie senza lasciar spazio al proprio mondo interiore, intenso e profondo che, però, non può trovare espressione nello spazio relazionale esterno, per cui spesso la casa resta quel posto sicuro in cui rifugiarsi, sottraendosi all’incontro con l’altro nel processo evolutivo. In questo contesto, i genitori restano gli interlocutori principali con i quali condividere tutto, quel tutto che, tuttavia, andrebbe condiviso con qualcuno che genitore di quell’adolescente non è. Adolescenti tendenzialmente perfetti che non conoscono l’errore, lo evitano impiegando molte energie, esercitando un forte controllo su di sé e nell’ambiente circostante. Non c’è più spazio per la trasgressione, per la sperimentazione. Tutto è estremamente pericoloso al di fuori delle mura domestiche.
D’altra parte abbiamo quegli adolescenti che il senso del limite non lo conoscono affatto, implicandosi in fatti e situazioni estreme dove non vi è percezione del pericolo, del dolore, dello spazio dell’Altro e soprattutto dove non c’è il senso di causalità rispetto alle conseguenze delle proprie azioni. Mi soffermo poco su di loro, almeno per stavolta, perché se ne parla già abbastanza e anche abbastanza male, senza carpirne il senso che si cela dietro azioni discutibili. Se ne parla come se non fossero figli nostri, ma come se appartenessero a qualcun altro, lontano e sconosciuto.
Sebbene la prima situazione descritta appaia meno preoccupante, e talvolta anche ingenuamente auspicata, di quella che ha seguito, entrambe raccontano molto bene l’espressione di un disagio importante, che non è semplicisticamente quello della società, ma quello della relazione con l’adulto.
E già, adulti che fanno fatica ad esserlo, che faticano nel recuperare l’autorità del ruolo che ricoprono, un’autorità che nulla a che fare con la prevaricazione e l’imposizione, a cui il termine può rimandare. L’autorità rappresenta il limite, il confine, la guida. Per cui, prima ancora di additare le nuove generazioni come cattive, dovremmo ampiamente riflette su che tipologia di adulti siamo, che tipo di modello e relazione rappresentiamo, dovremmo recuperare l’autorità genitoriale e farne strumento di “accudimento” e di relazione.
Dovremmo ritrovarci ed esercitare il ruolo di genitore, da una posizione adulta e asimmetrica per poter aiutare i giovani adolescenti ad esserlo, aiutandoli ad attraversare la tempesta adolescenziale, per approdare in maniera funzionale all’età adulta.