La psicologia clinica: borderline tra psicologia e medicina… ma attenti a non confonderla con la psicoterapia!
A cura della dottoressa Adelaide Clara Capuano
Psicologa clinica e della salute
Il termine clinico deriva dal greco “kliné” e significa “letto”; successivamente “chi visita il malato a letto”. Questo significato etimologico allude a due funzioni fondamentali della psicologia clinica che sono “ascoltare e riconoscere” che introducono numerosi concetti relativi al ruolo e ai compiti dello psicologo clinico: ascolto, comprensione e aiuto. Solo successivamente, però, la psicologia clinica ha acquisito l’accezione di scienza medica e arte clinica.
La psicologia clinica, dunque, include fin dalla sua radice etimologica la sua destinazione alla malattia e alla sofferenza, nel tentativo di dare aiuto al paziente con il ricorso a conoscenze e metodi psicologici. Ha come competenza specifica quella di comprendere il soggetto nella sua individualità e di aiutarlo a risolvere adeguatamente disagi e problemi derivanti dalla sua difficoltà di armonizzare i bisogni, gli affetti, i desideri del mondo interno. Compito dello psicologo clinico deve essere quello di lavorare sul singolo caso (approccio idiografico) però con un sistema generale di riferimento (nomotetico), in modo da integrare la dimensione nosografica-descrittiva (cioè classificatoria dei disturbi mentali) con quella dinamico-strutturale (intervento).
Il padre della psicologia clinica è lo psicologo americano Witmer che nel 1896 costituisce la prima Clinica psicologica presentando all’APA la sua concezione di questa nuova disciplina psicologica, ma fu Janet nel 1897 ad utilizzare per la prima volta il termine Psicologia Clinica anche se successivamente il merito fu dato a Freud che, nel 1899, in una lettera scrisse “mi piacerebbe chiamarla Psicologia Clinica”.
Per descrivere e spiegare ciò che questo ramo della psicologia rappresenta è necessario tener conto dell’estrema varietà dei suoi contenuti, dei suoi metodi e della sua complessità infatti molti furono gli autori che tentarono di dare una definizione alla psicologia clinica fino ad arrivare all’ultima (2001) che specifica come la psicologia clinica sia una branca disciplinare che trae i suoi contenuti e i suoi metodi dalla psicologia e dalla medicina. Nello specifico dalla prima trae contributi dalla psicologia differenziale e sperimentale e dalla seconda dalla psichiatria e dalla fisiologia.
In un senso più ampio, l’operato dello psicologo clinico si rivolge alla prevenzione primaria delle condizioni di disagio personale e relazionale; all’identificazione precoce delle problematiche o patologie; al corretto inquadramento dei fattori psicologici, personologici, familiari, relazionali e contestuali che generano e mantengono il disturbo; alla gestione clinica, tramite colloqui e tecniche di sostegno psicologico, delle principali tipologie di difficoltà; all’abilitazione/riabilitazione nelle problematiche non integralmente risolvibili; al sostegno all’uscita da una crisi di decisionalità da parte del paziente. Questo spiega anche come uno dei modelli di riferimento della psicologa clinica sia quello bio-psico-sociale proprio per specificare come il compito dello psicologo clinico sia quello di prendere in carico il paziente a 360°, in tutti gli ambienti e in tutte le varie sfaccettature.
Spesso viene fatta l’associazione psicologia clinica=psicoterapia.
Questa associazione è sbagliata. Essa corrisponde al “prendersi cura di” (to care) piuttosto che al “curare” (to heal) e quindi è applicato anche nelle situazioni di normalità, per migliorare il soggetto, le sue abilità e le sue competenze.
Le Competenze dello psicologo Clinico, non sono infatti solo di tipo psicoterapeutico, ma anche psicodiagnostico e preventivo. Lo psicologo clinico deve inquadrare il disturbo all’interno della vita del soggetto e della sua storia personale.
Questa fase prende il nome di Valutazione Clinica o Diagnostica che potrebbe portare, come fase finale, all’intervento psicoterapeutico che, dunque, è successivo alla valutazione clinica.
In Italia, una teorizzazione coerente e sistematizzata della psicologia clinica cominciò ad aver luogo alla fine degli anni 60, portando poi alla nascita, nel 1982, della Rivista di Psicologia Clinica, fondata ad opera di Carli, Canestrari e Bertini.
In Italia, l’esercizio della professione, e delle attività di merito nell’ambito della psicologia clinica, è riservato per legge ai soli Psicologi, regolarmente iscritti all’albo professionale (cui si accede con 5 anni di studi universitari di Psicologia, 1 anno di tirocinio ed un Esame di Stato; L.56/89). Lo psicologo è infatti quel professionista della salute che utilizza strumenti conoscitivi e d’intervento in ambito psicologico (art. 1 L. 56/89) per finalità sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione in ambito psicologico (D.M. 17/05/2002).