Studi recenti sulle Soft Skills: cosa sono le Competenze Trasversali e perché sono importanti
A cura del dottor Antonio Pio Longo
Psicologo del lavoro e delle organizzazioni
Per capire cosa siano le Soft Skills e la loro importanza vedremo gli studi recenti che le hanno messe in evidenza. Gli aspetti principali che differenziano le Soft Skills (Competenze Trasversali) dalle Hard Skills (competenze tecnico-specialistiche) riguardano il loro carattere di Trasversalità e Trasferibilità. Vediamo che significa seguendo la cronologia degli studi dedicati.
Il contesto socio-economico stava iniziando a cambiare nel corso degli anni ’80 e la necessità di sviluppare nuove competenze, che andavano oltre quelle acquisibili dai libri e dalla scuola, diventava sempre più forte e necessaria. Infatti, l’accesso all’istruzione era ormai aperto a tutti negli anni ’80 e concludere la scuola dell’obbligo e ottenere il diploma o la laurea erano ormai quasi alla portata di tutti.
Le competenze tecnico-scientifiche di base e specialistiche, le Hard Skills, erano ormai parte della società e quello di cui si iniziava a sentire la mancanza era proprio un altro tipo di competenze, ugualmente importanti, quelle socio-relazionali e comunicative: le Soft Skills.
Immaginiamo un team composto per la maggior parte di cervelloni, carichi di Hard Skills. Le risorse umane del team potrebbero disporre a pieno di competenze tecniche e scientifiche ma essere carenti di competenze relazionali e sociali. Era quello che stava accadendo negli anni ’80.
In altre parole, avere un cervellone matematico che non riesce a collaborare e comunicare con gli altri componenti della squadra, a lungo andare, può rappresentare un problema in un mondo sempre più complesso in cui la comunicazione e l’approccio al lavoro di squadra sono il vantaggio competitivo (difficile da imitare) principale che una azienda possa avere.
Riviviamo gli anni ’80 attraverso gli studi degli autori del tempo. Dobbiamo iniziare dal 1983, l’anno in cui Howard Gardner pubblicò il libro “Formae mentis”. Tra le diverse forme di intelligenza (matematica, logica, spaziale), per la prima volta venne inclusa anche un tipo di intelligenza definita “intelligenza personale“. L’intelligenza personale riguarda sia il mondo interno che quello esterno. Nel mondo interno, si concretizza nella capacità di introspezione, cioè la capacità di accedere e di riflettere sulla propria vita affettiva, di gestione delle emozioni, dei sentimenti e comportamenti. Nel mondo esterno è definita “intelligenza interpersonale” e si concretizza nella capacità di comunicazione e relazione con gli altri. Gardner sosteneva che l’intelligenza personale ha lo stesso valore degli altri tipi di intelligenza. Affermò che l’intelligenza personale fosse altamente predittiva del successo scolastico e lavorativo, allo stesso modo di quanto lo fosse il Quoziente Intellettivo, cioè il test per la misurazione delle componenti tradizionali dell’intelligenza: logica, matematica e visuo-spaziale.
A sottolineare l’importanza di questo tipo di intelligenza definita da Gardner “personale”, arrivò un paio di anni più tardi Reuven Bar-On (1985), che nella sua tesi di dottorato usò il termine Quoziente Emotivo per identificare una classe di competenze relazionali e sociali per poterle distinguerle da quelle classiche che venivano misurate dal test del Quoziente intellettivo (QI). Fece questa distinzione al fine di creare uno strumento psicometrico per misurarle. L’idea che vi sia un set di competenze comportamentali relative alla sfera delle relazioni con gli altri e con se stessi (Soft Skills) relative al “saper essere“, che si affiancano a quelle tradizionalmente intese come competenze, cioè quelle tecnico-scientifiche che riguardano il “saper fare” (Hard Skills), prende sempre più corpo.
Per la divulgazione di questa nuova classe di
competenze al grande pubblico, ci pensò l’opera di Daniel Goleman che nel
1996 pubblicò il libro: “Intelligenza
Emotiva” e la spiegava con queste parole: “la capacità di riconoscere i propri sentimenti e quelli degli
altri, di motivare se stessi e di gestire positivamente le proprie emozioni,
tanto interiormente, quanto nelle relazioni sociali.”
Nel 1993 l’OMS (Organizzazione Mondiale della Sanità) ha dato a questo genere di competenze la definizione di Life Skills cioè “abilità personali e relazionali che servono a governare i rapporti con il resto del mondo e affrontare positivamente la vita quotidiana” .
Life Skills, cioè competenze di vita, sottolineando l’importanza della loro trasversalità e trasferibilità in ogni ambito della nostra esistenza, dalla famiglia agli amici, al lavoro.
Il valore delle Soft Skills acquisisce sempre più peso col passare degli anni, tanto da divenire un indice altamente predittivo del successo lavorativo della persona, come descritto nel libro “Soft Skills per il governo dell’agire” (C. Ciappei, M. Cinque, Milano, Franco Angeli, 2004).