Mangio ciò che sento o sento ciò che mangio?
Disturbi del comportamento alimentare, lockdown e disregolazione emotiva
A cura della dottoressa Maria Erika Di Viesti
Psicologa clinica e della salute
Formata in Psicodiagnostica clinica e forense e Neuropsicologia clinica e riabilitativa
“I Disturbi del Comportamento Alimentare non sono un vizio, un capriccio, e soprattutto, non sono una volontà. Dietro c’è un sofferenza enorme che non si riesce ad esplicare a parole, per questo si usa il corpo. Il corpo che diventa come un libro, purtroppo giudicato dalla copertina. Ma che chi ha il coraggio di andare oltre certi inutili, ma confortevoli pregiudizi, e di aprire e sfogliare quel libro, troverà storie incredibili. Storie fatte di dolore, rabbia, abbandono, voglia d lasciarsi andare per far andar via la sofferenza. Perchè si pensa che sia la strada più facile e veloce. Perchè si pensa che non ci siano altre soluzioni. Perchè ci si sente in colpa per tutto, per far stare male le persone che più tengono a noi, per respirare, per essere un peso (anche se si è assurdamente leggeri), per vivere. Ci si aggrappa a tutto pur di restare in quel micro mondo autocreato fatto di sofferenza. Rassicura, è l’unica cosa che si conosce e, paradossalmente, si conosco i meccanismi per difendersi.
Proteggersi dal dolore provocandosene altro. Assurdo, ma reale. O irreale, ma è lo stesso. Tanto va sempre tutto bene. Aiuto. Chiedere aiuto. Fidarsi e affidarsi alle persone adatte, capaci di ascoltarti, supportarti e farti rinascere. Guarire. Perchè non c’è guarigione senza aiuto. Non c’è aiuto senza volontà. Bisogna voler guarire, bisogna avere il coraggio di chiedere aiuto. Siamo umani. Siamo fragili. Sbagliamo, cadiamo, ma ci rialziamo. Sempre. E rinascere è ancora più importante di nascere per a prima volta. Perchè lo vuoi.”
Questa è una testimonianza. Vera. Sentita. Reale. Profonda.
Qualche giorno fa è stata la giornata Internazionale del Fiocchetto Lilla, giornata dedicata ai Disturbi del Comportamento Alimentare. Area inoltre che mi ha svezzato nella mia professione. Non credo ci sia molto da aggiungere a ciò che avete letto dal punto di vista emotivo. Le sue parole sono vive dentro di me e le porto come si fa con una fede al dito, con devozione, amore e fedeltà. Fedeltà a quella che è la missione dettata dalla nostra professione, accogliere la parole per curarne i contenuti invisibili.
Dedichiamoci però ora a quello che è il punto di vista pratico e psicologico.
La regolazione emotiva di chi soffre di DCA non è uguale rispetto a quella di persone che non soffrono di patologie psicologiche. Vi è senza dubbio maggior presenza di alessitimia che, detta in soldoni, è la difficoltà di identificare e descrivere i sentimenti.
E a conseguenza di ciò vi è quindi una maggiore difficoltà nello scegliere le strategie migliori per affrontare, appunto, le emozioni.
Allora si opta per meccanismi come la fuga, la negazione e l’evasione. Questi comportamenti provocano quasi come dire un “effetto robot”, aumentando le emozioni negative.
E qui entra in gioco il cibo come mezzo di comunicazione di queste emozioni dette e non. Ci si avvale quindi per comunicare una insofferenza o un disagio di ciò che abbiamo più a portata di mano, in questo caso il cibo.
Facciamo ora n salto fuori dalla teoria e tentiamo un tuffo nella realtà odierna.
I disturbi del comportamento alimentare, secondo quanto asserito da recenti studi e statistiche, sono uno degli effetti della pandemia. Un disagio che si nasconde tra le mura di casa. A volte di una stanza.
Il lockdown e poi lo stress diffuso della pandemia hanno fatto da detonatori in chi, con l’alimentazione, presentava un rapporto problematico. Da Marzo 2020 ad oggi i casi di DCA sembrano essere incrementati del 30%. E ad oggi chiedere aiuto purtroppo non è facile. In questo caso il virus non ha infettato, ma sicuramente ha lasciato i segni della sua presenza. “L’isolamento prolungato – asserisce l’Istituto Superiore di Sanità – ha limitato la possibilità di praticare attività sportive e quindi favorito atteggiamenti disfunzionali concernenti questa problematiche, come ad esempio le restrizioni caloriche accompagnate dal timore di non perdere peso. Le scorte alimentari in casa hanno facilitato le abbuffate aumentando una serie di meccanismi legati al peso”.
Dopo questa tempesta, sarà il momento di aprire gli occhi soprattutto sui giovani e sul loro rapporto col cibo. Perchè non si arrivi tardi. Gli adulti devono fare lo sforzo di parlare, e mai fare finta di niente. Mai trattare questa parte del paziente come una parte invisibile, perché loro è proprio in quella invisibilità e “ leggerezza” che ti stanno urlando che vogliono esistere!