Nemesi: la dea della giustizia
A cura del dottor Antonio Pio Longo
Psicologo del lavoro e delle organizzazioni
In questo articolo torneremo sul tema dell’influenza sociale. Faremo un salto nel tempo verso il passato a circa cinquanta anni fa e parleremo di una storia in cui una minoranza ha iniziato a rivendicare i suoi diritti e li ha ottenuti, cosa per nulla scontata. Se agli inizi del secolo scorso il femminismo nasceva dalle lotte per il diritto al voto, nel corso degli anni settanta si risveglia intorno al tema dell’aborto. Racconteremo la storia di uno dei gruppi più rappresentativi del movimento femminista italiano, il collettivo napoletano chiamato “Le Nemesiache”. Ho scoperto questo movimento di attiviste durante la preparazione della mia tesi di laurea triennale sull’influenza sociale. Per sapere di più su di loro c’è il sito ufficiale: Le Nemesiache.
Le parole “influenza della maggioranza” e “influenza della minoranza” non devono essere intese esclusivamente in termini di maggioranza numerica ma anche in termini di status di potere che questi gruppi ricoprono nella società.
Ad esempio, le minoranze etniche sono gruppi di persone che hanno meno potere in quanto solitamente ricoprono uno status sociale gerarchicamente più basso, cioè scarsamente rappresentato a livello politico e decisionale. La stessa cosa vale ad esempio per le minoranze di tipo politico o religioso e, non ultime, vale anche per le minoranze di genere, cioè gli omosessuali, i transgender, le donne.
Sì, anche le donne.
Infatti, anche se il numero delle donne e degli uomini presenti sul pianeta terra più o meno si equivale, le donne vengono considerate una minoranza sulla base dello status di potere che ricoprono nella società a cui appartengono.
Uno status decisionale di potere considerato ancora troppo basso oggi ma che diventa molto importante se paragonato a quello di cinquanta anni fa. È sufficiente chiedere ai nostri genitori, ancor più ai nostri nonni e nonne, per renderci conto dei grandi passi in avanti fatti dalle donne in termini di status di potere nella società nel corso del secolo scorso. Basterebbe fare attenzione a quello che sta succedendo oggi in Afghanistan, dove c’è lo scontro culturale sul ruolo della donna nel nuovo stato prima ancora dello scontro militare.
Durante gli anni settanta in Italia, con un po’ di ritardo rispetto al resto d’Europa e in concomitanza della rivoluzione studentesca, si accese un forte attivismo da parte delle donne intorno alla rivendicazione di alcuni diritti, in primo luogo quello sull’aborto.
Tra i gruppi di attiviste più interessanti vi era quello delle Nemesiache, un collettivo napoletano esistito dal 1970 al 1980.
Il nome è ispirato alla dea greca Nemesi, dea della giustizia sociale, colei che per i greci aveva il compito di ristabilire l’equilibrio tra le parti lottando contro le tirannie. La scelta del nome non è casuale ovviamente, rimanda alla voglia di vendetta culturale verso il mondo maschilista di cui il collettivo si è voluto fare messaggero.
Infatti, l’obbiettivo pratico del collettivo era quello di trasmettere alle donne quella voglia di creare, inventare, usare la creatività che ovviamente non è una facoltà esclusivamente maschile. Il punto di incontro del collettivo fu quello di creare un teatro interamente al femminile, dove gli spettacoli erano aperti a sole donne e non era permesso l’accesso agli uomini. Il canale di comunicazione scelto dalle Nemesiache è stato quello della comunicazione artistica. Realizzando spettacoli teatrali creati interamente da donne e aperti solo alle donne, si voleva dimostrare alla maggioranza (il contesto culturale circostante) che le donne al pari degli uomini potevano fare arte, musica e spettacolo. In questo modo volevano allargare l’immagine della donna da quella tradizionale di mamma e casalinga. Le Nemesiache hanno anche realizzato un film chiamato “Follia come poesia”.
Il grande insegnamento delle Nemesiache è stato quello di far capire alle altre donne del tempo che con le tecniche teatrali e cinematografiche, con l’arte in generale, si poteva parlare di tutto. Si poteva trasformare ogni tabù in metafora e scavalcare qualsiasi muro che c’è davanti alla libertà di espressione che, in fondo, è libertà di essere.