Il bullismo non è un gioco
A cura della dottoressa Pamela Longo
Psicologa e Psicoterapeuta
Leggendo le pagine di cronaca, osservavo come siano sempre più frequenti gli episodi di violenza, nelle sue molteplici forme e svariate sfaccettature. Sarebbe interessante comprendere il cambiamento insito nella società moderna, che sebbene sia sempre più civilizzata ed attenta alla diffusione del sapere, sembrerebbe mancare di quei fattori protettivi che impediscono la diffusione della logica della sopraffazione e della crudeltà. Indipendentemente dalla forma in cui si manifesta, la violenza verbale o fisica, causa un dolore profondo nelle persone che la subiscono e sono manifestazione di un conflitto in chi la esercita. In particolare quest’ oggi vorrei soffermarmi ad osservare un fenomeno piuttosto diffuso, espressione di una violenza subdola ed invalidate, presente tra bambini e adolescenti: il Bullismo.
Il termine bullismo, deriva dalla parola inglese “bull” che significa “toro” e dal verbo “to bully” che significa “intimidire, prevaricare, opprimere”.
Questo termine viene utilizzato prevalentemente in ambito scolastico, per definire quelle forme di violenza e prevaricazione presenti tra persone giovani.
Già in questa definizione possiamo rintracciare le caratteristiche principali del fenomeno del bullismo, ossia:
- Intenzionalità: l’aggressività espressa è finalizzata ad arrecare danno alla vittima;
- Persistenza: gli atti di violenza perdurano per settimane o anche anni;
- Asimmetria: nella relazione vi è uno squilibrio di potere tra colui che esercita l’azione violenta e chi la subisce.
Inoltre, è caratteristico che la vittima, come in altre manifestazioni violente, abbia molta paura nel difendersi, soprattutto a causa delle possibili conseguenze del suo atto di “denuncia”.
È chiaro, dunque che nonostante molti termini siano entrati a far parte del nostro vocabolario quotidiano, affinché possiamo parlare di bullismo è necessario verificare che siano presenti determinate condizioni.
Il bullismo è un fenomeno complesso, che si “crea” e manifesta all’interno del gruppo, per cui la nostra attenzione dovrebbe dirigersi verso tutti gli attori coinvolti nel processo. Infatti, oltre la diade bullo-vittima, molta importanza assumono i gregari, ovvero gli aiutanti del bullo, e gli spettatori, coloro che assistono agli episodi di violenza sia incentivando la prevaricazione sia osservando rimanendo in silenzio.
Il bullismo, inoltre, può manifestarsi attraverso azioni fisiche o verbali violente e denigranti, ed anche attraverso fenomeni di isolamento ed esclusione della vittima. Quest’ultima forma è sicuramente più difficile da individuare, ma può essere anche più pericolosa della prima.
Il dolore provocato dalle forme di violenza e prevaricazione lascia una cicatrice profonda nelle persone che la subiscono ed anche in coloro che la esercitano ed osservano. Seppur con conseguenze differenti, esse possono essere devastanti, lasciando una traccia indelebile nella propria storia, poiché incidono profondamente sul senso di percezione e stima di sé.
Il compito più importante di noi adulti è quello di aiutare a dare voce alle vittime e ai bulli, riconoscendo, per tempo, ciò che sta accadendo. Fondamentale, è la prevenzione, la quale dovrebbe attuarsi attraverso lo sviluppo e il potenziamento dell’intelligenza emotiva ovvero la capacità di esprimere correttamente il proprio vissuto, riconoscere le proprie ed altrui emozioni, gestirle e indirizzarle in condotte funzionali, assumere condotte sociali adeguate e un atteggiamento empatico.
Altrettanto importante è il ruolo della scuola, la quale può lavorare affinché si attui concretamente l’inclusione nel gruppo di pari, attraverso l’espressione emotiva e la creazione di un clima positivo di accoglienza e accettazione della diversità.
Laddove invece purtroppo vi siano forme di bullismo, fondamentale è non sottovalutare ciò che accade, perché non “sono cose da ragazzi”. Talvolta il sostegno più importante che si può offrire è quello di aiutare a chiedere aiuto e fornire spazi in cui poter elaborare la sofferenza. Perché ricordiamo che chiedere aiuto è un atto di coraggio e non tutti sono consapevoli di possederlo, fintantoché scopriamo di potercela fare.