Come aiutare i bambini ad affrontare le proprie paure
A cura della dottoressa Valentina Turco
Psicologa clinica e Tecnico ABA
Psicomotricista in formazione
La paura è un’esperienza comune a tutti gli esseri umani e molto spesso siamo abituati a viverla come un problema.
In realtà la paura è una sensazione che si prova in presenza o al pensiero di un pericolo reale o immaginato, che genera delle reazioni automatiche nell’organismo: fuga, attacco o paralisi.
Oltre ad attivare delle risposte fisiologiche, lo spavento provato si associa a pensieri, immagini, idee che lasciano in memoria una traccia, costruendo così una realtà temporanea. Generalmente l’esperienza di una singola paura dura frazioni di attimi, invece quella che più frequentemente viene connotata con la parola “paura” è un’esperienza organizzata in un nucleo ripetitivo, staccato dalla realtà, che si attiva in previsione dell’evento temuto. Ricordiamo che esiste una differenza tra la realtà oggettiva cioè il fatto accaduto realmente, e la realtà soggettiva ovvero quello che la persona ha percepito, quello che pensa e prevede possa accadere.
Anche se nella tenera età non si possiedono strutture di pensiero elaborate, sono sufficienti poche connessioni che leghino un luogo o una situazione a un’esperienza emotiva negativa, in grado di creare attorno a una paura un comportamento organizzato di reazione ad essa.
È evidente che il bambino può vivere un’esperienza di paura come rappresentazione autonoma di una situazione di pericolo, ciò che provoca invece una reazione disfunzionale del bambino in risposta a una paura è rappresentato dalla persistenza di soluzioni non adeguate a fronteggiare tali situazioni attivate dal bambino e successivamente dai genitori. Tali comportamenti possono incrementare la paura e creare profondo disagio influenzando le successive risposte agli eventi temuti.
Le paure più frequenti che osserviamo nei bambini riguardano tre aree:
il corpo e il suo funzionamento (paura di stare male, delle malattie, del dolore);
le inadeguatezze nelle capacità (paure di non riuscire, di fare brutta figura);
il rapporto con gli altri (paura dell’abbandono, di rimanere solo, di non essere accettato).
Molto spesso le reazioni che il bambino mette in atto di fronte a tali paure possono riguardare la fuga e l’evitamento rispetto alle situazioni che gli provocano ansia e disagio. In altri casi il ripresentarsi della paura orienta il bambino a tenere sotto controllo i “sintomi fastidiosi” fino a condizionare anche il comportamento negli adulti, ad esempio con condotte di controllo.
Come si sente il genitore di fronte alle paure del figlio?
La maggior parte dei genitori, inconsapevolmente, assumono un atteggiamento protettivo e comprensivo di fronte alle paure del proprio figlio, con il fine di evitare per lui momenti di sofferenza. L’aspetto del sostegno morale e la comprensione provata per gli stati difficoltà del figlio sono necessari per predisporre all’aiuto, ma tante volte non sono sufficienti ad accompagnare il bambino fuori dalle difficoltà. Molte volte viene utilizzato il linguaggio in una forma consolatoria, dando spiegazioni ragionevoli e consigli ai figli, invitandoli a non avere paura. È bene ricordare che la comunicazione è essenziale e rappresenta lo strumento principale che abbiamo a disposizione, ma ricordiamoci anche che esistono vari tipi di linguaggio e di relazione. Quello che sembra funzionare rispetto a situazioni legate alla paura è uno stile di comunicazione che trasmette sicurezza da parte della figura genitoriale, che in piena autonomia prende una decisione e descrive al figlio quello che farà, oppure quello che è necessario fare. In sostanza guida il figlio a uscire dalla paura esattamente come quando insegna al figlio ad andare in bicicletta.
Come aiutare il bambino ad uscire dalle trappole generate dalla paura?
Poiché tutte le
difficoltà sono caratterizzate da una forte interattività del bambino con se
stesso, con gli altri e con il mondo, le influenze reciproche negative
sviluppano circuiti disfunzionali su cui è indispensabile intervenire per
consentire ai bambini di affrontare le proprie paure. La rottura del circolo
vizioso necessaria al cambiamento segue principalmente alcuni criteri:
-dove i problemi sono rappresentati da comportamenti di persistenza legati “al fare” o “all’agire troppo” ad esempio piangono, urlano tanto, si oppongono, si è dimostrata funzionale la logica di intervento di tipo paradossale ossia fare di più per bloccare. Quando il comportamento di un bambino ci appare non contenibile e più si dice di smettere più lui continua, ci rimane allora come altra possibilità quella di prescrivere al bambino di fare quello che sta attuando in modo disfunzionale, per sottrarre potere al comportamento inadeguato.
Quando il problema del bambino è legato “al non fare” e “all’evitare” l’intervento comportamentale mira all’aggiungere piccoli cambiamenti quasi impercettibili al contesto, così da non attivare troppa resistenza utilizzando la logica della credenza. Il compito del genitore sarà quello di agire nella direzione di far provare piccolissime esperienze concrete al figlio in modo da evidenziare una discrepanza tra i fatti e la sua credenza dimostrando attraverso le eccezioni che la realtà è diversa dalle sue rappresentazioni mentali.
A fronte di quanto esposto fin qui, concludo il nostro spazio con una citazione molto significativa: