Una storia di porcospini
A cura della dottoressa Pamela Longo
Psicologa e Psicoterapeuta
La presenza dell’Altro nella vita di ognuno rappresenta un bisogno imprescindibile e fondamentale per l’esistenza, senza l’altro significativo non ci sarebbe la vita, senza l’altro non potrebbe avvenire lo sviluppo del sé. Quando parliamo di altro facciamo riferimento dapprima alle figure significative, che si prendono cura del bambino nei suoi bisogni primari ed affettivi, qui si gettano le basi dei modelli relazionali con le quali ognuno si approccerà alle future relazioni, amicali, amorose, lavorative. L’uomo è per sua natura un essere sociale che vive nelle e di relazioni dalle più significative a quelle meno importanti ma che costituiscono il terreno fertile entro cui ognuno ha la possibilità di evolvere ed esprimersi. In ogni fase della vita, la presenza dell’altro si modula ed assume un significato oltre che un’importanza differente rispetto a quello che è il compito evolutivo legato alla fase di vita in cui si è.
La possibilità di trovare un equilibrio in questa modulazione rappresenta occasione di benessere personale ed emotivo. Infatti, la troppa presenza dell’altro, o l’eccessiva distanza dallo stesso, rappresentano invece delle condizioni che possono causare dei conflitti relazionali e personali significativi, i quali possono dare origine a condizione di malessere intenso.
A tal proposito, mi piaceva l’idea di portare alla vostra attenzione una metafora elaborata dal filosofo Schopenauer:
La storia dei porcospini si offre come spunto a numerose riflessioni, e sicuramente ognuno nel leggerla avrà trovato degli aspetti che avrà sentito più vicini o applicabili alle situazioni più diverse, qui però vorrei porre l’accento sulla “sofferenza” che potrebbe derivare dall’essere troppo vicini o altresì troppo lontani.
Infatti, sebbene nelle relazioni vi sia il desiderio di intimità e vicinanza emotiva, quando l’intensità della vicinanza somiglia ad una fusione, dove quasi l’individualità del singolo non pare più caratterizzarsi, quella relazione può divenire soffocante, nel senso che la persona non “esiste” quasi più se non in funzione di quella relazione. D’altro canto, un’eccessiva distanza, dove i bisogni personali prevalgono con l’impossibilità di tenere conto di quelli dell’altro, potrebbe essere ugualmente dolorosa, perché connotata da un profondo vissuto di solitudine.
Allora qual è la distanza ottimale da tenere?
Questa metafora evidenzia i due bisogni profondi che accomunano le persone, ovvero se da una parte vi è il bisogno di Appartenenza che richiede d’avere legami, dall’altra vi è il bisogno di Separazione, inteso come necessità di conservare la propria individualità. Solitamente oscilliamo tra questi due bisogni, il come dipende dall’esperienze di vita di ognuno con le quali ci interfacciamo all’interno delle relazioni, portando dunque dei bisogni di distanza diversi.
Pertanto, non è possibile definire aprioristicamente quale sia la migliore posizione, questa varia tra persone e persone e nella stessa persona varia anche a seconda della fase evolutiva nella quale si trova.
Ed ecco, che torna come fondamentale la necessità di conoscersi e saper riconoscere quali sono i confini di sé entro i quali muoversi, ovvero sapere chi sono io aldilà dell’altro. Questo ci permetterebbe di entrare nelle relazioni, più o meno importanti, senza mai perdere di vista il me, in equilibrio tra il bisogno d’essere vicino, amato e riconosciuto, e il bisogno di individualità, essere alla distanza che mi permette di caratterizzarmi, pur non essendo solo.